"Non si può essere sgarbati con la memoria", ricorda in una lettera a Valentino (Gioele Dix) il padre da poco defunto. Tifoso granata, testimone di quello che fu il mito del "Grande Torino", Mario Motta chiede al figlio (editore poco coinvolto dalle vicende sportive) l'ultimo favore: ritrovare la tromba che, fino al 1949 (anno in cui avvenne la tragedia di Superga), suonava la carica allo stadio Filadelfia durante le partite del Torino. Doveroso omaggio ad una delle più grandi leggende dello sport italiano e internazionale, Ora e per sempre di Vincenzo Verdecchi racconta, su due piani temporali diversi, quello che è stato e quello che è "rimasto" del Grande Torino: il ricordo non come strumento di nostalgia e dolore, ma come consapevolezza di aver vissuto qualcosa di irripetibile. Prodotto che poco si discosta dai crismi della fiction televisiva, il film è apprezzabile per il proposito, un po' meno nella riuscita: la fluidità con cui si passa da un contesto (1949) all'altro (i giorni nostri) finisce per cozzare con un intreccio narrativo tirato un po' troppo per le lunghe, prevedibile nello sviluppo e con qualche incongruenza di fondo (la ricerca di questo fantomatico "trombettiere", purtroppo, si risolve per lo spettatore sin da subito). Non bastano le discrete caratterizzazioni di Dino Abbrescia (è il tassista Pietro, amico del trombettiere e trait d'union con il passato, poi interpretato da Giorgio Albertazzi), Kasia Smutniak (la professoressa inglese Sally Burke, che finirà per innamorarsi di Luciano Scarpa, il trombettiere) e dello stesso Gioele Dix a risollevarne le sorti: la commozione e il coinvolgimento scaturiscono, anziché dalle fantasiose vicende che danno corpo alla trama, solo grazie al pensiero rievocato (quello di una formazione imbattibile, che nessuno - se non la collina di Superga - avrebbe mai fermato).