Che sia scotch, che sia whisky, non è un caso che il classico uomo americano sia sempre ritratto a sorseggiare un bicchiere, impugnato timidamente e dannatamente tra le mani. Soprattutto se si tratta di “guai in vistae la cinematografia americana non smette di rammentarlo.

Nel 2018 usciva il romanzo Last Looks di Howard Michael Gould. Nel 2021 Tim Kirkby, regista britannico, decideva di farlo suo per un altro adattamento cinematografico, intitolandolo Omicidio a Los Angeles.

Una voce narrante inaugura la scena: la natura è padrona. Un uomo è seduto di spalle con davanti il sole; apre gli occhi, lo guarda e respira. La barba folta sfida chi assiste a farne distinguere i lineamenti e sulla scia di Nomadland, il cui simbolo rimane inciso in quel vecchio van, sola dimora per chi sfida il capitalismo, sembra essere un tutt’uno con l’ambiente circostante.

Il cappello, unico amico insieme a una piccola gallina spelacchiata, ricalca poi quell’ambientazione western che fa mitologia agli Stati Uniti.

Purtroppo però non assistiamo a nessuna morale alla Don’t look up tra crisi del pianeta e crollo del presente, ma piuttosto, come suggerisce giustamente il titolo, a un divertente giallo tutto da risolvere, o così dovrebbe essere.

“Ho scoperto che è molto più difficile fare uscire di prigione un uomo innocente che incarcerane uno colpevole. Il sistema non è fatto per gestire gli errori”. Charlie Hunnam, nelle vesti di Charlie Waldo, è un ex poliziotto ritirato tra i boschi a causa del suo sporco passato fatto di accuse a chi invece era innocente. Se fino a quel momento il suo motto si finalizzava a un “non voglio più considerare nessuno” ecco che ritorna al lavoro per scoprire il caso in cui Mel Gibson è coinvolto: un egocentrico e strapagato attore alcolizzato, di nome Alastair Pinch, ancora protagonista di uno show televisivo presieduto da Wilson Sikorsky (Rupert Friend), è accusato di aver ucciso la moglie.

La narrazione è ad Hollywood, simbolo per antonomasia del mondo dello spettacolo: finzione e set cinematografici non potevano mancare.

L’entrata di gruppi gangster disorientano e senza alcun fil rouge spostano l’attenzione da un delitto ad un altro; volendo poi, forse, richiamare la pandemia ancora in corso, in una scena di botte decidono di interrompere il combattimento per igienizzarsi le mani. Se lo scopo è quello del sorriso, l’effetto desiderato è manchevole.

Alastair Pinch, disinvolto e sgradevole uomo, crea intenerimento solo quando lo si ritrae con la sua bambina; figlia di quel mondo costituito da vizi ed infedeltà.

Le dinamiche action comedy risultano così prive di personalità, tanto che il mistero al centro dell’omicidio perde di ogni credibilità. Charlie Waldo non sembra averne il controllo, e non solo del caso. Vita amorosa, individuale e rapporto con la città, ormai estranea al suo stile, sembrano essere ingarbugliate come la sua stessa barba.

Un film con qualche difetto e con un cast di personaggi intrappolati in una Los Angeles corrotta. Quasi quasi meglio riavvolgere il nastro e tornare nella natura.