Un esercito ha sempre bisogno di burocrati. Per migliaia di soldati che muoiono sul campo di battaglia, ce ne sono altrettanti che riempiono le carte e svolgono lavori "scomodi" che consentano al carrozzone militarista di portare avanti il proprio ministero di morte e violenza. Dai reclutatori agli alti ufficiali delle stanze del potere, la burocrazia militare miete fin troppe vittime, anche se spesso tra le proprie fila. Ma tra questi, ci sono anche travet che hanno sulle loro spalle compiti inumani: quello, per esempio, di recare alle famiglie la notizia della morte del loro marito, padre, figlio, fratello.
Coppie di soldati impeccabili che recitano a memoria salmi che l'esercito stabilisce in quella ritualità infame che a loro tocca recitare con la stessa ottusità con cui il subordinato spara. Solo perché, magari, chi è più alto in grado glielo ha intimato. Oren Moverman, sceneggiatore di Io non sono qui ed ex militare, nella sua Israele, per 4 anni, ci racconta uno spaccato di questa ambasciata di morte, ci offre un ritratto di questi messaggeri di dolore in divisa. Ben Foster e Woody Harrelson hanno la stessa uniforme, ma uno è un reduce spezzato dalla guerra in Iraq, l'altro lo è dalle sue regole di ingaggio, da un cinismo posticcio e politicamente scorretto. Frustrati da un lavoro impossibile, unici a pagare le colpe di un esercito, di un paese intero, ogni giorno sanno che qualcuno quello sporco lavoro lo dovrà pur fare. E per amor di patria, per servirla nonostante tutto, ci portano con loro. C'è un po' di Milius nelle loro ambizioni irrisolte e in quegli animi feriti, c'è tanto Coppola (quello di Giardini di pietra), c'è persino la Bigelow di The Hurt Locker. Il nostro mondo in guerra, le nostre ingiustizie globali, i nostri Vietnam moderni ci costringono a metterci anche i panni più scomodi. Moverman e l'italiano Camon, sceneggiatore nominato all'Oscar, lo fanno fin quasi alla fine: senza quel finale troppo risolto e qualche eccesso d'enfasi, infatti, il film sarebbe stato tragicamente perfetto.