Al 30° anno di carriera, c'è una notizia per Tom Cruise: il nome Jack non gli porta bene. Se non al box office, almeno negli esiti artistici: dopo il tremebondo Jack Reacher, ecco il fantascientifico Jack Harper al servizio di Joseph Kosinski in Oblivion. Almeno il titolo non è fedifrago: oblio (subitaneo) è quel che rimane dopo la visione.
Frullato senza denominazione d'origine controllata di Philip K. Dick, ma tratto dalla graphic novel dello stesso Kosinski, porta il buon Tom nell'anno 2077 a fare il riparatore di droni sulla Terra ormai disabitata e infestata, pare, di alieni. Sono stati sconfitti - abbiamo impiegato l'atomica – ma sono resilienti: guidato dalla torre di controllo dalla partner Andrea Riseborough, Tom controlla e sistema, mentre aspetta di tornare sul saturnino Titan, nuova casa dell'umanità. Ma c'è un ma: più di ogni tanto nella sua memoria, resettata ad hoc, si riaffaccia l'Empire State Building e, soprattutto, un'avvenente ragazza, Olga Kurylenko (come al solito, bella ma non balla). Perché? Chi è la donna, meglio, chi è Jack Harper?
La risposta tarda ad arrivare, e per 126 minuti a farla da padrone è il deserto, i relitti, i colori smortaccini e la solitudine, inframmezzati da flashback mnemonici, oasi sul lago (il buen retiro del nostro) e ospiti inattesi. A funzionare è solo il Tom centauro, metà uomo e metà macchina: a bordo della sua navicella fa pensare a Top Gun, e tocca accontentarsi.
Tutto il resto (RIP Califano) è noia, affidata alle incapaci mani di Kosinski che dopo TRON: Legacy spazza via i residui dubbi: davvero non ci sa fare. Si potrebbe, eppure si rischia di svelare troppo (ma c'è invero qualcosa da svelare?), parlare di clonazione e slittamento dal principio d'identità al principio di congruenza della fantascienza ultima scorsa, ovvero quella post-clonazione della pecora Dolly. Scriveva Dick, ma gli androidi sognano pecore elettriche? Oggi la risposta è cambiata, eppure, Oblivion non (ce) la ricorda.