Ha fatto staccare tre milioni di biglietti in patria ed è candidato per la Spagna alla corsa Oscar per il miglior film straniero. Il successo di questo film che vede protagonisti attori disabili nei panni di una squadra di basket è davvero meritato.

La commedia di Javier Fesser, noto per i suoi film Camino, vincitore di sei Premi Goya, e Mortadello e polpetta contro Jimmy lo Sguercio, fa ridere e riflettere al tempo stesso, è leggera e profonda, emoziona e commuove. Peccato per il titolo italiano, Non ci resta che vincere, che in realtà è l'unico neo del film. Non era meglio lasciare l'originale spagnolo Campeones? Quello italiano fa riferimento alla famosa pellicola con Troisi e Benigni che ben poco c'entra anche per il suo significato rispetto alla storia.

Protagonista è il bravissimo Javier Gutierrez, qui nei panni di Marco Montes, un allenatore di una squadra di basket professionista. Arrogante e litigioso, un giorno viene sorpreso alla guida in stato di ebbrezza e viene di conseguenza condannato alla pena di dover svolgere un lavoro socialmente utile. Per ordine del giudice dovrà organizzare una squadra composta da persone con una disabilità intellettiva. Non la prenderà molto bene: difficile insegnare a giocare insieme a persone così diverse.

C'è chi ha paura dell'acqua e non si fa la doccia da mesi, chi si incanta per qualche minuto fissando un punto qualunque del soffitto, chi è ipocondriaco e pensa sempre di avere qualche malanno, chi tira la palla solo all'indietro e chi invece è bravissimo a fare canestro, ma si rifiuta di giocare. Ognuno ha le proprie particolarità e i propri problemi. Ma chi non ne ha?

Lo stesso allenatore scopre di non esserne immune. Non solo ha paura di prendere l'ascensore, ma dal punto di vista affettivo è talmente frenato che, pur tenendoci ancora molto, non riesce a sbloccare la situazione con la sua ex fidanzata Sonia (Athenea Mata). La lezione del film, che apprenderà per primo lo spocchioso Montes, è proprio questa: ogni persona ha i propri limiti, non solo quelli che lui inizialmente chiama con disprezzo i “mongoloidi”, ma anche i così detti “normodotati”. Insieme si può provare a superarli. Vincere non è arrivare primi, ma è soprattutto giocare la propria partita. E questo è il vero canestro nella vita.