La famigerata famiglia Sawyer, responsabile di un'interminabile serie di delitti in "appena" sei film, è stata annientata da un branco di bifolchi vendicativi armati di fucile. La strage risparmia una bimba (e non solo). La bimba cresce ignara delle sue radici, ma quando finalmente diventa ragazza (e che ragazza!), scopre di avere parenti in Texas e che la nonna le ha lasciato una cospicua eredità. Indovinate quale...
E' Non aprite quella porta 3 D(ementi): Adam Marcus, Debra Sullivan e Kirsten Elms. Sceneggiatori con licenza di boiata, principali imputati di un sequel (non pervenuto il regista, John Luessenhop) che non può non apparire un crimine per chi ama l'horror e Tobe Hooper e il suo capostipite (The Texas Chainsaw Massacre, 1974). Per tutti gli altri danno ridotto ma garantito: insulto all'intelligenza. Proviamo ad arrampicarci sugli specchi delle scusanti postmoderne del genere: parodia? Mmm...Decostruzionismo? Naa...Horror vacui? Forse. Vacuo, di certo.Carpiati ermeneutici e salti mortali, contorsioni impossibili nel vuoto tra la mente e l'immagine.E finiamo così, spiaccicati contro dettagli anatomici, tranci di carne sanguinanti, facce ottuse, corpi gommosi, dialoghi lunari (vedi la cronaca diretta via smartphone della discesa negli abissi di un poliziotto scemo: "Sto per entrare", "Scendo le scale", "sembra una catacombe").
Nell'inenarrabile catena di eventi insensati, incoerenze e svolte risibili, il film tiene il punto solo su una sconcertante legge del taglione che cancella dalla faccia della terra ladri e prostitute, fedifraghi, boia e curiosi.
Il Texas si conferma un brutto posto in cui vivere e il demente Leatherface si rivela il meno cerebroleso tra tutti: fa quasi tenerezza e sembra il giardiniere dei Simpson.
Serrato dietro una porta chiusa minaccia altre sortite. Non apritela, non guardate. E se potete buttate via la chiave.