Marisa Ombra, Carmen Nanotti, Carla Dappiano, Gisella Giambone, Enrica Core, Maria Airaudo, Rosi Marino e Maddalena Brunero. Otto donne, otto eroine, senza clamore. C’è chi, ricorda, mal digeriva di essere appellata “difesa” e “assistenza” alla Resistenza degli uomini, dei partigiani, quando nel novembre 1943 nacquero i “Gruppi di difesa della donna per l'assistenza ai combattenti per la libertà”.

C’è chi ricorda l’orrore dei nazifascisti, le perdite da digerire, che di elaborare il lutto manco si parlava, non c’era tempo né modo. Ma in tutte queste donne che hanno fatto – sì, anche loro come gli uomini - la Resistenza in Piemonte è unanime il lascito, non il mero ricordo, del loro impegno per la libertà e la giustizia: una voce corale travasata sullo schermo da Daniele Segre, documentarista di lungo corso e provato valore, con – bellissimo titolo – Nome di battaglia donna.

Non è, quello di Segre, solo “un atto di gratitudine verso chi ci ha permesso di vivere in libertà e in democrazia”, perché nel dare accoglienza audiovisiva a queste donne che raccoglievano indumenti per i partigiani; confezionavano bandiere, calze e maglie; facevano, le più giovani, le gappiste in città, le staffette o, poche, le guerrigliere colma una grave, e colpevole, mancanza: come lamenta esplicitamente una delle otto donne, la pubblicistica, i materiali sulla Resistenza hanno eluso ed eliso il loro ruolo attivo nell’opposizione al nazifascismo tra il 1943 e il 1945. In Piemonte come in tutta Italia.

Inframmezzati da brevissimi inserti d’archivio e paesaggistici, questi ritratti ridanno, dunque, alla Resistenza il proprio genere: femminile, plurale.