Non c'è solo il caso della Gioconda che tormenta il mondo dell'arte e dei variopinti cacciatori di misteri: molti dei capolavori che oggi rimiriamo sulla tela nascondono nelle loro trame letture misteriche, criptiche ragioni, fascinose letture ai limiti della verità. Chi poteva immaginare che La ronda di notte dipinta dalle mani di Rembrandt nel 1642 fosse il codice pittorico per denunciare cospirazioni di vario genere, la corruzione dei suoi committenti e addirittura un delitto efferato? Con molto più impatto visivo, spessore psicologico e rigore storico rispetto al famoso "codice" che ha malauguratamente investito Leonardo, Peter Greenaway, sconfessato finalmente l'annoiato ripetersi dei suoi ultimi lavori, si pone alcune travolgenti domande fondanti la storia della pittura e della critica e si cala teatralmente in quell'anno cruciale della vita dell'olandese: la "Ronda", effettivamente, determinò la sua rovina sociale ed economica, pur rendendolo in modo definitivo e duraturo famoso al mondo. E' un film concettualmente travolgente e visivamente superbo, come un manuale di cinema-teatro nel quale le diverse dimensioni dello spettacolo trovano una unitarietà eccelsa: l'immagine, la luce, il testo, la parola, il gesto, la musica. E' tutto perfettamente calibrato, ogni istante "è" cinema di splendida fattura. Segue le diverse emozioni, le ragioni private e collettive che hanno accompagnato la complessa, tragica realizzazione del dipinto: furore e passione, illusione e visione, vendetta e morte, coppie di stati d'animo affrontate con una recitazione manualistica da Martin Freeman e dalle tre donne della sua vita, che incarnano rispettivamente la convenzione, la passione e la pietà. Nella ricostruzione pittorica degli interni e nelle folgoranti e rare incursioni all'esterno, il limite tra pittura e cinema si perde, il secondo assimilando i codici estetici della prima, mentre trionfano, vivaci e cupi, i colori di una tela e quelli di un'anima.