Quello di Tsai Ming-liang è un percorso filmico che da qualche anno ha deviato dal cinema, perlomeno nelle forme comunemente intese, per approdare a modi di riflessione e pratica artistica vicini all’installazione. Il suo nuovo film Your Face prosegue la strada di Journey to the West (2014) e The Deserted VR (2017) ma torna pure alle radici del cinema, a una delle sue figure specifiche: il primo piano.

Il film infatti raccoglie tredici primi e primissimi piani di persone comuni e non, le osserva e le lascia libere di parlare o no, di raccontarsi o celarsi, di dormire se serve oppure di confessarsi a cuore aperto. Un documentario volendo definire a tutti costi l’opera di Tsai, ma il cui centro non sono i soggetti dei primi piani, quanto il rapporto tra la macchina da presa e l’uomo, tra guardare ed essere guardato.

Rispetto a opere similari, come Shirin di Kiarostami o l’opus di Marina Abramovic condensata in The Artist Is Present, Your Face sembra voler riflettere sull’uomo in quanto tale, cercando di astrarlo dai contesti e dalle reazioni (cosa si prova davanti a un film o come agiamo davanti a un’artista) per concentrarsi solo sul volto: cos’è un volto in un’inquadratura? Cosa comunica? Come si muove e cosa si dice, come cambia se parla o se sta in silenzio?

Intorno a questi volti emerge fortissima però la persona, l’essere umano di cui il volto è solo un’estremità e attraverso il volto Tsai indaga il corpo, l’età, le storie che l’essere umano racconta solo con la sua presenza. E il cinema ne è il testimone privilegiato, perché può trasmettere quella presenza al mondo.

Ma ad arricchire il film di Tsai partecipa anche uno straordinario lavoro di sonorizzazione di Ryuichi Sakamoto che crea attorno ai visi inquadrati incredibili atmosfere di suoni e rumori, accenni di musica d’ambiente ed echi sinfonici che culminano in un magnifico finale nella hall di un teatro, nella quale tutti i suoni legati alle immagini viste in precedenza si raccolgono, la luce cambia, come nell’attesa di tornare a essere visti e sentiti. Come se un cinema fosse sempre il limbo dei film e delle opere che lo hanno popolato. Un atto d’amore per il cinema unico per Tsai, anche mentre dal cinema sembra allontanarsi sempre più. O forse proprio per questo.