Napoli, la milionaria, Napoli del carosello e dell’oro, è lei che strega col suo mistero, con la sua anima eterna, che accoglie mille culture, dalle ricche ville del Vomero alle vele di Scampia. La criminalità si fonde con l’arte, e gli splendidi panorami emozionano visitatori di una notte o più. Gomorra ci ha presentato la Napoli mafiosa, Ammore e malavita ci ha fatto ballare a suon di proiettili e intrighi, e La tenerezza di Gianni Amelio ci ha portato per i suoi vicoli tumultuosi, dove i sogni si infrangono. I padri si rivoltano contro i figli, le famiglie implodono e poi si ricostruiscono: tante sono le facce di Napoli, che questa volta si presenta velata per la regia di Ferzan Ozpetek.

Una donna ritrova se stessa al chiaro di luna. Si chiama Adriana, nella vita assiste i morti, è un medico legale, fa autopsie e disseziona corpi. Un incontro fortuito accende il desiderio e porta la luce nel suo gelido obitorio. Ma il fato deve ancora giocare le sue carte, in una città di passioni represse e omicidi chiusi nel loro mistero. Il suo amante Andrea viene ritrovato in un cassonetto, brutalmente torturato. I brividi assumono una connotazione ambigua, il thriller gioca con i colori, in un’atmosfera onirica, lisergica, che pulsa di segreti.

Il regista ritrova Giovanna Mezzogiorno dopo La finestra di fronte e abbandona il ritorno alle origini di Rosso Istanbul. Il passato è alle spalle, ora bisogna guardare al futuro, come in tutti film di Ozpetek. Le sue fate ignoranti vivono ancora, bruciano di passione, sempre sospese tra amicizia ed erotismo. La Mezzogiorno si concede una delle sequenze più hot della sua carriera, rimanendo avvinghiata almeno per dieci minuti al madrino di Venezia Alessandro Borghi. Astenersi anime candide.

 

Napoli velata è un cinema di corpi, che si stringono di notte e si perdono al mattino. Il sentimento divora i due innamorati, e li trasporta in un mondo surreale, dove la realtà si mescola al misticismo. Le ambizioni sono tante, forse troppe, come anche i riferimenti ai maestri del passato. Le scelte di regia sono spesso azzardate, e la macchina da presa indugia fin troppo sulle “effusioni” amorose. Il melodramma incontra il thriller, regalando un po’ di inquietudine. Ma nella seconda parte il rischio è che il film diventi ridondante, senza aggiungere nulla alla vibrante prima ora.

Le sottotrame si intersecano con la religione, i culti priapeschi e l’omosessualità, in una vicenda che si tinge di soprannaturale. Fantasmi, visioni e stramberie sono all’ordine del giorno, in un’operazione non al passo coi tempi. Personal Shopper di Olivier Assayas rimane un punto di riferimento forse involontario, nei crepuscoli in cui strane presenze si aggirano vicino al focolare. Di “velato” rimane poco, la voglia di mostrare scopre anche ciò che dovrebbe rimanere nascosto. Ma la vera protagonista è la città, con tutte le sue contraddizioni che la rendono unica.