Chi sono i Minions? Il film che pure ne racconta genesi, preistoria ed evoluzione elude la domanda. Si diverte a girarci attorno semmai, ora etichettandoli  come marmocchi affetti da itterizia, ora apparentandoli a idranti gialli.

E va bene così. In fondo i Minions sono i Minions, una felice tautologia cinematografica, come i Gremlins, i Goonies, i Simpson. Più facile dire che cosa rappresentano.

Qui papà Meledandri si è superato, immaginando che dall’incontenibile entusiasmo del bambino, dall’allegria messicana, dalla vigliaccheria piccolo-borghese e dalla carica anarchica e distruttiva, à là Jerry Lewis, potesse nascere non solo qualcosa di unico, ma che andasse bene per tutti.

I Minions sono una straordinaria macchina del consenso, un adesivo da attaccare sul retro di una macchina, un logo che funziona a prescindere del contenuto. Il paradosso è questa fortissima iconicità che è anche estrema porosità ideologica, un totem per tutte le battaglie.

Perciò non serve che ci sia anche un film - e di fatti non c’è, se non come sketch reiterato. Basta questo piccolo grande segno giallo - come Kevin, il SuperMinion del finale - che tutto assimila e sputa. E la forza dell’immaginario batte il potere dell’immaginazione.