Gli Agenti J (Will Smith) e K (Tommy Lee Jones) sono tornati! Lunga vita ai Men in Black, che al terzo approdo in sala non deludono le attese: ironia, simpatia e la solita, buona, vecchia missione, salvare il Pianeta Terra. Ma qualcosa è cambiato: a preoccupare J non sono più tanto gli alieni quanto il suo partner, immusonito come non mai. La cura è nel passato, anno “lunare” 1969: back in the days, sorti uguali e contrarie, destini reversibili, e il 69 aiuta. Mentre lo shuttle parte per Cape Canaveral, K ha il volto di Josh Brolin, Jemaine Clement quello della nemesi Boris l'Animale, l'aiuto alieno è Griffin (Michael Stuhlbarg) e i singhiozzi temporali frullano paternità (delegata) ed eroismo, scudo spaziale e teleologia varia.
Si sorride, non si ride, e si saluta il ritorno sulle scene di Will Smith, che a Hollywood ha un passo e una presenza da novello Tom Cruise: buona notizia, dunque, come pure il passo doppio di Lee Jones e Brolin, tutti scorza e distintivo, per tacere di Emma Thompson, fascinosa Woman in Black, che qui è O ma quale M di 007 - ci scusi Judi Dench - farebbe faville.
E ci sono alcune chicche: Nostro Signore dei Mostri, Tim Burton, in video-cammeo, e qualcosa a proposito di Andy Warhol e Mick Jagger. Il primo è un collega di J e K sotto copertura, e non ne può più di happening e modelle che sono tutte aliene, mentre il folletto dei Rolling Stones è sorvegliato non dall'FBI, ma proprio dai Men in Black, causa presunta natura extraterrestre. Insomma, l'ucronia continua a farla da padrone, farcita di bon mots, 3D senza infamia né lode, effetti visivi, effetti alieni e tanta nostalgia per quel “piccolo passo per un uomo, ma un grande passo per l'umanità”.
Meno isolazionisti di The Avengers, il regista Barry Sonnenfeld e lo sceneggiatore Etan Cohen tengono l'alieno in due staffe: c'è quello buono, ma pure quello cattivo, da fronteggiare dietro uno scudo di reganiana memoria. Del resto, siamo in campagna elettorale, c'è Romney e c'è Obama: chi vincerà nemmeno MIB3 lo sa.