“All'epoca pensavo di lavorare con un ragazzo, John. Adesso mi guardo indietro e penso che lavoravo con John Lennon”. Molto dopo i Beatles e con cinquant'anni di carriera da solista alle spalle, sir Paul McCartney narra la loro e la sua storia attraverso un mare di ricordi, aneddoti e curiosità. A fargli da spalla c'è niente di meno che Rick Rubin, leggendario produttore dei Red Hot Chili Peppers, Linkin Park ed Ed Sheeran, nonché scopritore dei Beastie Boys e molti altri. Paul, Rick e un mixer: per raccontare una leggenda vivente, a quanto pare, non serve davvero altro.

Continua il momento d'oro delle docuserie; in particolare, le docuserie musicali che girano sulle piattaforme riscuotono sempre più successo di pubblico e critica. Abbiamo appena scavallato il tormentone Get Back (vedi pag. 60, ndr), in cui Peter Jackson ci ha mostrato i Fab Four come mai prima, ed è di pochi mesi or sono l'uscita dello splendido 1971: The Year That Music Changed Everything. Tutto questo interesse sarà forse perché il momento storico non permette di vivere la musica coi concerti dal vivo come eravamo abituati fino a un paio d'anni fa?

In sei episodi di durata intorno alla mezz'ora l'uno è impossibile raccontare la vita musicale (e non solo) di Paul McCartney, ma si può trasmettere parte della sua esperienza incredibile, iniziata da ragazzino amante della musica che a soli quattordici anni compone il primo brano, e che poi incontra sull'autobus per andare a scuola altri ragazzini che come lui mettevano la musica al primo posto, risparmiando soldi per acquistare un album o una chitarra.

McCartney 3, 2, 1 non è un documentario biografico tradizionale né nella costruzione cronologica né soprattutto nelle intenzioni; forse ricorda in parte Song Exploder: canzoni al microscopio, la serie Netflix tratta dall'omonimo fortunato podcast di Spotify creato da Hrishikesh Hirway che permette ai musicisti (R.E.M., Alicia Keys, Dua Lipa, Nine Inch Nails, The Killers e altri) di scandagliare l'annosa questione su dove nasca l'ispirazione, con tanto di retroscena spesso succosi.

McCartney 3,2,1 -- Paul McCartney sits down for a rare, in-depth, one on one with legendary producer Rick Rubin to discuss his groundbreaking work with The Beatles, the emblematic 70s arena rock of Wings and his 50 years and counting as a solo artist. In this six-episode series that explores music and creativity in a unique and revelatory manner, join Paul and Rick for an intimate conversation about the songwriting, influences, and personal relationships that informed the iconic songs that have served as the soundtracks of our lives. Paul McCartney, Rick Rubin, shown. (Photo Courtesy of Hulu)
McCartney 3,2,1 -- Paul McCartney sits down for a rare, in-depth, one on one with legendary producer Rick Rubin to discuss his groundbreaking work with The Beatles, the emblematic 70s arena rock of Wings and his 50 years and counting as a solo artist. In this six-episode series that explores music and creativity in a unique and revelatory manner, join Paul and Rick for an intimate conversation about the songwriting, influences, and personal relationships that informed the iconic songs that have served as the soundtracks of our lives. Paul McCartney, Rick Rubin, shown. (Photo Courtesy of Hulu)
McCartney 3,2,1 -- Paul McCartney sits down for a rare, in-depth, one on one with legendary producer Rick Rubin to discuss his groundbreaking work with The Beatles, the emblematic 70s arena rock of Wings and his 50 years and counting as a solo artist. In this six-episode series that explores music and creativity in a unique and revelatory manner, join Paul and Rick for an intimate conversation about the songwriting, influences, and personal relationships that informed the iconic songs that have served as the soundtracks of our lives. Paul McCartney, Rick Rubin, shown. (Photo Courtesy of Hulu)
McCartney 3,2,1 (Photo Courtesy of Hulu)

In McCartney 3, 2, 1 non c'è spazio per il glamour visivo e neanche per il colore: il regista Zachary Heinzerling ha scelto un bianco e nero pulito e rigoroso (spezzato occasionalmente da qualche piccola sequenza di repertorio) e ha rinchiuso Paul e Rick in una stanza atemporale, fuori dal passato e dal presente, dove a esistere è soltanto la musica. Quasi un racconto dell'immortalità dell'arte, in cui gli unici fronzoli concessi sono i primi piani o i cambi luce nei momenti cardine di questo viaggio nella memoria personale e collettiva.

È dunque un prodotto pensato per nerd beatlesiani? La risposta è no, naturalmente. Perché non è necessario essere il fan da sottopalco per apprezzare l'emozione con cui Paul racconta che non poteva credere che un brano da lui appena composto non esistesse già per come gli era venuto in mente, così incredibilmente chiarissimo e concluso, e che fosse un brano troppo bello per non esserci, proprio no, e che continuasse a non crederci dopo averlo canticchiato agli altri che gli avevano confermato che sì, era un inedito ed era meraviglioso. Il brano in questione è Yesterday, per la cronaca. Perché è bello per tutti sapere che A Hard Day’s Night viene da una delle espressioni nonsense che Ringo Starr usava nella quotidianità.

Ma anche che Paul McCartney non sa né leggere né scrivere la musica, ed è un argomento che spesso tocca con giovani musicisti e perfino bambini. Il succo? Non serve, se la musica ce l'hai dentro.

Rick Rubin fa partire sul mixer i brani, poi gioca a escludere un suono o a isolare la linea del basso o della chitarra o una voce. Il risultato è sempre un'espressione di reale sorpresa di Paul, che a propria volta risponde manipolando le levette di questo strumento magico. L'impressione che ne riceviamo, da spettatori, è che quei due potrebbero andare avanti all'infinito perché si divertono un sacco, e noi con loro. Rubin, con la lunga chioma bianca come la barba, è una sorta di guru scalzo che però si trasforma sotto il nostro sguardo in un umile discepolo al cospetto del maestro.

Non c'è nessuna struttura precisa e neanche un tema che emerga più degli altri: ogni episodio è a sé, procede seguendo il flusso inafferrabile della creatività. Potrebbe accadere che Paul suoni un brano alla chitarra, al piano o alla batteria, o che canti, o si limiti a raccontare quella che, a tutti gli effetti, è una vita straordinaria. Poi può spiazzare dicendo "Scrivevamo canzoni memorabili perché dovevamo ricordarcele", riportandoci in un soffio a un tempo in cui registratori e altri strumenti che tutti noi ora abbiamo sempre in palmo di mano erano appannaggio di pochi, anzi, quasi nessuno. E l'arguzia era importante quanto il talento.

Volutamente antispettacolare e intransigente, McCartney 3, 2, 1 alterna episodi inevitabilmente noti a vere chicche che possono stupire anche chi ha ascoltato i dischi dei Beatles fino a consumarli. Magari, per esempio, di un brano come All My Loving, nessuno si aspetterebbe che l'assolo di chitarra sia in stile country (lo è). E di Lucy in the Sky with Diamonds, siamo proprio sicuri che c'entri qualcosa l'LSD (no, non c'entra). Poi c'è quel brano famosissimo in cui c'è anche una tuba, un ottone… ma no, è il basso di Paul.

McCartney 3,2,1 (Photo Courtesy of Hulu)
McCartney 3,2,1 (Photo Courtesy of Hulu)
McCartney 3,2,1 (Photo Courtesy of Hulu)
McCartney 3,2,1 (Photo Courtesy of Hulu)

Possibile? L'aneddotica gustosa si accumula e si intreccia con ragionamenti illuminanti sulla musica (e sulla vita) che danno allo spettatore l'impressione di trovarsi lì con Rick e Paul, in una specie di master class virtuale, il cui calore è sottolineato in modo discreto ma efficace dalla disinvolta regia di Heinzerling, che non ha paura di alternare sinuosi carrelli circolari a una più spartana macchina a mano, facendo talvolta entrare in campo anche la crew – proprio come in un classico film-concerto. Ed è proprio la forma libera del linguaggio visivo, che si adatta a quella altrettanto aperta e rilassata dei discorsi tra musicista e produttore, che spinge lo spettatore verso una riflessione sulla creatività e l'apertura mentale, oppure su come le dinamiche di gruppo (che si tratti dei Fab Four, o solo di Paul e George Martin, il “quinto Beatle”), così sofferte nell'ultimo periodo del quartetto di Liverpool, siano il materiale più efficace per alimentare il fuoco della creazione e, quindi, della cultura tutta.