La premessa potrebbe sembrare scontata: un'avventura per mare, ambientata durante le Guerre Napoleoniche, a bordo di una corvetta inglese a caccia dei pirati. Potrebbe. Ma la Miramax ha invece indovinato la ricetta vincente. Da una parte, uno sforzo produttivo nell'ordine dei 140 milioni di dollari. Capace di mobilitare l'impossibile, ma da solo insufficiente a garantire successo e qualità. Dall'altra, Peter Weir: regista pluricandidato all'Oscar, sinonimo di film come Picnic a Hanging Rock, L'attimo fuggente e The Truman Show, ma non certo un tipo da kolossal. Un'alchimia che si è rivelata perfetta. L'unica possibile, probabilmente, per rinnovare una storia altrimenti già vecchia, senza scivolare nelle tentazioni epiche a cui la trama offrirebbe il fianco. Il risultato è una traversata dal gusto classico che richiama i canoni del vecchio film di genere, senza troppo cedere alle lusinghe del sensazionalismo. O meglio, sfruttando gli spunti spettacolari, senza però mai rimanerne schiava. Le battaglie non mancano, ma Weir è uomo di troppa esperienza per cadere nel tranello di Matrix. Mette a frutto il talento claustrofobico, nega (quasi) qualsiasi contatto con il mondo esterno e ricrea il suo microcosmo personale a bordo della "Surprise": corvetta al servizio della Corona Britannica, con il compito di difendere i Mari del Sud dalle scorribande dei corsari francesi. La stessa, per la cronaca, già utilizzata da Verbinski per La maledizione della Prima Luna. Ricostruita nei dettagli fin quasi a sentire l'odore di muffa e il rancido della cambusa. Mai ridondante, Weir offre qui il meglio di sé. Con singole inquadrature, sguardi e movimenti di macchina, parla per immagini di mille altre storie corsare. Si arrampica sugli alberi, torna sul ponte, scende sottocoperta, si infila nella stiva. Pesca a piene mani dall'immaginario filmico e collettivo, forse anche con un pizzico di banalità, ma colpisce sempre nel segno. L'effetto visivo è travolgente e il cast di prim'ordine. Dall'equipaggio di comprimari reclutati in giro per il mondo, ai due straordinari protagonisti: la certezza Russell Crowe e la sorpresa Paul Bettany. Il primo è Jack Aubrey "il fortunato", così soprannominato per i suoi successi in battaglia. Capitano coraggioso e ribelle, diviso tra l'obbedienza agli ordini di Sua Maestà e quello ai propri sentimenti "Un lupo di mare con le mani callose e il cuore tenero", per dirla con Crowe. L'altro, di nuovo al suo fianco dopo A Beautiful Mind, è Stephen Maturin, chirurgo e naturalista di bordo più incline alla scienza che alla guerra. A unirli, un rapporto profondo e tormentato che offre il destro a molteplici letture. Uniti dalla nobiltà del loro animo e delle loro passioni (il violino e il violoncello, per esempio), sono però divisi dalle reciproche concezioni esistenziali. Patria e scienza, fedeltà e scoperta, certezza e dubbio: poli opposti di un'attrazione fatale che fa da nerbo e filo conduttore a tutti e venti i romanzi della saga marinaresca a cui è ispirato il film. Tentazioni e suggestioni del grande schermo, costringono la trama letteraria di O' Brian a un ruolo più secondario, ma la tratteggiano quanto basta per intuirne spessore e potenziali sviluppi. Che, c'è da scommettere, non tarderanno a venire. Lo spunto letterario non manca. La formula del titolo-sottotitolo prelude a un sequel e Russell Crowe già si candida per il bis. In attesa dei conti, la Miramax per il momento non si sbilancia. Ma chissà, se il Gladiatore bissasse anche l'Oscar...