Maria Antonietta, giovane moglie di Luigi XVI alla quale fu attribuita la famosa frase "se al popolo manca il pane mangi le brioches", è un'adolescente strappata alla libera corte austriaca per essere catapultata nella vita opulenta ma rigida di Versailles. Una violenza che, unita all'incapacità del Delfino di Francia ad avere rapporti con lei, ne fa una ragazza votata all'infelicità. Intorno tutto urla magnificenza: gli abiti lussuosi, i dolci di ogni sorta offerti in quantità smisurata, i litri di champagne versati, i fuochi d"artificio, le stanze ricche di arredi d'oro, le perle, idiamanti. Ma il cuore di Maria Antonietta, come quello di qualsiasi altra adolescente, è carico di tristezza. Difficile immaginare questo sottile male di vivere insinuarsi e minare le coscienze dei cortigiani dell'epoca, ma alla Coppola poco interessa essere storicamente credibile. La sua è una rilettura inchiave intima, dove per forza di cose trova posto la nevrosi che tutto oscura e corrompe. Alla visione moderna poi, corrispondono uno stile personalissimo e una sensibilità squisitamente femminile. E non certo per la grazia che sprigiona lo schermo, quanto per l'adesione alle sofferenze della viziata ma in fondo triste Maria Antonietta. Impossibile sapere quale infanzia abbia avuto la piccola Sofia alla corte di papà Francis, ma se è lecito operare sulla sua figura come la regista ha fatto su quella della sovrana francese, viene il dubbio che Marie Antoinette sia opera più autobiografica di quanto non appaia. Non a caso la colonna sonora in contrasto con la filologia musicale riporta agli anni Ottanta, quelli dell'adolescenza della regista. Ma interpretazioni psicanalitiche a parte, Marie Antoinette si fa amare per la libertà creativa, per la perfezione delle inquadrature, per lo sguardo carico di modernità che ne fanno un prodotto assolutamente anomalo nel cinema di oggi. Inutile infine sottolineare quanto alla riuscita del film contribuisca la presenza di Kirsten Dunst, bella e infelice, perfettamente bilanciata dalla recitazione tutta a togliere di Jason Schwartzman nei panni di Luigi XVI. Ultima notazione di colore: alla proiezione per i critici e i cinéphile non sono mancate lebordate di fischi. Verso Maria Antonietta o a chi ha osato darle un'"anima". Poco da dire invece sul versante dell'altro titolo in concorso, il belga La raison du plus faible di Lucas Belvaux. Compito portato a termine senza troppa inventiva sulle gesta di un gruppo di proletari che sognano la rivincita grazie a un furto. Che andrà a finire tragicamente lo si capisce verso la fine, dopo che per un'ora e mezza Belvaux ha condito il film con i toni della commedia. Troppo tardi perché si abbiano dei sussulti e si apprezzi il cambiamento di registro.