Alla vigilia del suo diciottesimo compleanno, Manuel lascia il centro di accoglienza nel quale vive da quando sua madre è stata arrestata. Fuori deve cavarsela da solo, trovare un lavoro, impegnarsi a fare uscire il genitore di prigione e dimostrare alle autorità giudiziarie che saprà farsi carico della madre garantendole una situazione stabile. Accudirla ai domiciliari costituisce per lui il solo orizzonte possibile.

Al suo esordio, Dario Albertini attraversa col protagonista le stazioni di un reinserimento alla vita nella periferia balneare laziale, che non offre migliori prospettive di quelle del luogo da cui proviene. Tragedia di un Ercole contemporaneo costretto a sostenere fatiche e a pagare la colpa del genitore, Manuel ribalta la logica della ‘custodia’: è il figlio, caduto prematuramente dal nido, a farsi garante e guardiano della madre, tracciando una riga definitiva sulla sua giovinezza.

Manuel svolge la relazione madre-figlio invertendo il tema biblico reso celebre da Michelangelo (la Pietà). Rassegnato e inquieto, il protagonista rinuncia a innamorarsi di un’aspirante attrice o a partire con un vecchio compagno per accudire un genitore di cui progressivamente misura l’egoismo e l’angoscia.

 

Già (con)dannato prova a convincersi del contrario dentro gli occhi di una fanciulla che ripete il monologo di Delphine Seyrig in Baci rubati. Manuel è interpretato da Andrea Lattanzi, ragazzo pasoliniano moderno e sorprendente, portatore inquieto della fisicità canaglia della strada e insieme di una dolcezza infantile che persiste dietro agli attacchi di panico. Personaggio popolare, avanza dritto dentro il realismo digitale del nuovo cinema italiano, lambendo i destini di un amico d’infanzia spaccone o di un artigiano gaudente, ex pensionante del centro educativo. Ipotesi di vita a cui Manuel oppone la sua integrità e la sua pietà filiale interrogando lo spettatore dentro l’ultimo piano. Dario Albertini trova in Lattanzi l’interprete ideale e in Manuel un futuro (davvero) promettente.