Sam Raimi ci aveva giusto quando nel 2013 aveva affidato a un giovane filmaker uruguayano il remake di un suo film di culto, La casa.  Fede Alvarez non aveva sfigurato allora e non delude nemmeno adesso che torna sulla scena - sempre insieme a Raimi come producer - con un thriller inedito, scritto e diretto da lui.

Man in the Dark non avrà il pregio dell'originalità ma è cattivissimo e tiene inchiodati alla poltrona dall'inizio alla fine. Il suo sporco lavoro lo sa fare bene.

Più che una variazione sul tema "caccia al cieco" - fortunato sottogenere rigorosamente in interni e doverosamente claustrofobico, che parte da Terrore cieco di Fleischer, con un'indimenticabile Mia Farrow, e arriva fino a Il terrore del silenzio (Hush) della generazione Netflix - trattasi di vero e proprio ribaltamento, con la vittima predestinata che si rivelerà lo spietato carnefice e quest'ultimo - questi ultimi: sono tre giovani ladruncoli - che si riscoprirà l'agnello sacrificale.

Alvarez sfrutta praticamente ogni situazione possibile per mantenere la tensione a un livello accettabile, variando finché può trovate e colpi di scena, affondando qua e là la lama con un paio di momenti shock (da urlo quello "inseminazione") e allentando solo per ripartire più forte. Dimostra cioè una padronanza dello spazio scenico e dei tempi della suspense non comuni a un classe '78 al suo secondo lungometraggio.

A suo favore va ascritta anche la cura meticolosa con cui caratterizza i personaggi, non rassegnandosi mai a farne dell pedine di un gioco al massacro ma conferendo a ciascuno di loro ( o quasi) un tratto, una personalità, un'ambiguità, squisitamente umane. Il film pone doppiamente lo spettatore in una posizione scomoda, perché prima gli fa credere di essere il carnefice e poi gli ricorda che è la vittima, e viceversa, costringendolo insomma a fare i conti con un'indecidibilità morale che perdura fino alla fine. Bene la direzione del cast, tutti attori bravi e semisconosciuti (Stephen Lang, Jane Levy, Dylan Minnette), suggestiva la stratificazione testuale con i vari sottotemi che si intrecciano - il confronto generazionale (il vecchio veterano del Vietnam che dà una lezione a tre giovani nullafacenti), la cornice economica (siamo nella depressa Detroit), la questione di gender (assisistiamo sottotraccia allo scontro finale tra il femminismo rampante e il vecchio mondo patriarcale) -  un po' forzata la verosimiglianza, con la trama arricchita forse di troppe rivelazioni e di twist. Efficaci, ma non sempre e non del tutto necessari.