L'ultimo giorno di concorso della Berlinale si apre con il contributo austriaco Macondo di Sudabeh Mortezai. Un debutto interessante con chance di un premio.
Macondo racconta di una comunità di richiedenti asilo alla periferia di Vienna. Macondo è il nome che gli austriaci danno a quel laboratorio (forzato) di lingue e culture di 3000 anime. La storia è un romanzo di passaggio all'età adulta. Ramasan è un bambino ceceno che a Macondo ci è arrivato piccolissimo con la famiglia e che ora ci sta crescendo.
Sudabeh Mortezai è una documentarista molto apprezzata in Austria e Germania. La realtà di Macondo è scioccante, ma Mortezai la racconta con il filtro di un realismo magico. L'approccio documentaristico è valorizzato dall'ottima performance degli interpreti che non sono attori professionisti. Identità, appartenenza, autodeterminazione, sono i temi che stanno crescendo nel cinema europeo contemporaneo.
Il quartiere di Simmering (il vero nome di Macondo) alla periferia della capitale, è ovunque in Europa. Le case di alluminio, l'autostrada sulla testa, le mura che dividono. 22 nazionalità tenute sotto chiave. Ancora un film in questa Berlinale raccontato con gli occhi di un bambino. La camera ad altezza di Ramasan. Un film silenzioso ricco di osservazioni precise al di là di didattica e cliché.