Se si vuole andare a lezione di tolleranza e di rispetto tra esseri umani, bisogna rivolgersi al professore Andres Wood, autore di un trascinante e coinvolgente lungometraggio che è diventato in nemmeno un mese il più alto incasso di tutti i tempi del cinema cileno. A costo di passare per teneri e piagnoni, Machuca, è un appassionato e lucido apologo sulla purezza dell'adolescenza e sul contrapposto e infamante mondo degli adulti, uno scontro tra ingenua, spensierata realtà e reale follia. Cile, 1973, pochi mesi prima della caduta di Allende, Gonzalo, 11 anni, di famiglia alto borghese, incontra Pedro Machuca, suo coetaneo, che vive con sorella e famiglia in una bidonville fuori città. Liaison scolastica, il prestigioso collegio cattolico dove si insegna l'inglese e si impara a coltivare la terra. Nasce una sincera amicizia e un innocente ménage a trois (i due fanciulli più la sorella di Machuca) en attendant il colpo di stato. Lampi da Attimo fuggente (si sa le scuole e i collegi dopo il film di Weir sono terreni a rischio lacrima facile) e spontaneità attoriale (bravissimi i tre piccoli interpreti principali) per un tragico destino che spezza i sogni di bambino, Machuca è impasto di esperienze autobiografiche e di una dimensione di autentico confronto sociale e politico. Wood coglie l'essenza di un'educazione sentimentale e alla vita che pare saltare proprio con il violento ingresso in scena dei truci militari di Pinochet: la follia distruttiva e pervicace annichilisce e quasi cancella il legame dei due ragazzi confermando il behavioriano assunto dove i poveri finiscono ammazzati come cani e i ricchi se la spassano fra aperetivi e piscine. Machuca, infine, trasmette il disagio e il terrore verso quel mondo dei "grandi" che impone illogiche discipline e granitiche certezze, violando l'ancora intonsa gioia di vivere di un ragazzino. Probabilmente un film che sarebbe piaciuto a Truffaut'