Dopo Thy Womb e Taklub, uno ambientato nella remota isola di Tawi Tawi, l'altro a Tacloban dopo il devastante tifone Haiyan, Brillante Mendoza (tralasciamo la parentesi dell'horror Sapi) ci riporta nei sobborghi di Manila. Una pioggia torrenziale è presagio di sventura per Ma' Rosa (Jaclyn Jose) e la sua famiglia. La donna, sposata con Nestor (Julio Diaz) e madre di quattro figli, possiede un piccolo negozio dove si vende di tutto, a prezzi convenienti. Da Rosa, poi, puoi trovare anche le dosi di sostanze stupefacenti. Qualcuno se la canta, però, così la polizia non può far altro che arrestare la donna, insieme al marito. E l'incubo kafkiano immaginato dal regista filippino ha inizio.

Sempre fedele al suo stile inconfondibile, camera a mano e inseguimenti digitali, pioggia e fango, strade di vitalità e miseria, Mendoza (dopo il bellissimo Lola) ancora una volta si serve di un personaggio eponimo per inquadrare l'ennesima figura femminile della sua carriera. Che in questa occasione rappresenta il centro nevralgico della propria famiglia, nucleo di forza sul quale ruota effettivamente l'intero film del regista filippino. Che, mai come in questa occasione, mischia più volte le carte in tavola: portati in un ufficio della stazione di polizia dalla squadra che si è occupata dell'arresto, Rosa e Nestor non vengono "registrati" all'arrivo. Mendoza - a metà strada tra spaccato di denuncia sociale e docu-thriller (particolarmente suggestivi i lunghi pedinamenti con cui segue un agente da un ufficio all'altro, con sottofondo noise angosciante) - ci mostra la parte malsana di un corpo chiamato invece al "servizio" e alla "giustizia". Servendosi anche di minori ricompensati alla bell'e meglio, i poliziotti ricattano i due fermati: prima costringendo Rosa a fare il nome del suo spacciatore, poi obbligandoli a procurare una cospicua somma in cambio della libertà. Naturalmente tutta la "roba" e i soldi provenienti da quei traffici illeciti finiranno anche quelli in mano loro.

Quasi "comica" nella desolante consapevolezza di una normalità risaputa, questa parte serve semplicemente per arrivare al cuore della questione, che per Mendoza è da ricercare nella centralità della famiglia: "Troveremo un modo, troveremo un modo", ripete in continuazione Rosa ai suoi tre figli più grandi. E loro, senza perdere tempo, uniscono le forze per cercare di racimolare la somma richiesta per fare uscire da lì i propri genitori. Un peregrinare fatto di umiliazioni (anche fisiche) ma necessario.

Discontinuo ma capace sempre di guizzi interessanti, il film non regala la stessa potenza dei due precedenti titoli sopra citati di Brillante Mendoza, regista il cui stile rimane però inconfondibile. Ce lo ricorda anche stavolta, con un finale (questo sì, bellissimo) tipicamente figlio della sua idea di cinema.