Estenuante e inesplicabile sequenza di scenari dalla somma dei quali è arduo estrarre un senso, M rappresenta l’esordio registico di Anna Eriksson, cantante e musicista finlandese molto nota, a quanto pare, in patria.

Più che un film in senso stretto, l’opera sembra rappresentare un perverso esercizio di stile di un cineasta alle prime armi che si diletta nello sperimentare giochi di luce e d’ombra e cambi di inquadrature al limite dell’improvvisazione, divertendosi a spaziare da campi lunghi a dettagli generosi di nudi (il corpo della bella regista si espone ripetutamente per quasi un’ora e venti), vagine, occhi, bocche rigorosamente vibranti di rossetto e carni arrostite, naturalmente bruciate.

Un vago pretesto narrativo è rintracciabile nel percorso di un uomo e di una donna che forse si desiderano, o forse no, nei dintorni di una bella villa del meridione.

La sinossi parla di esplorazione del rapporto fra sessualità e morte, desiderio e paura. La vera morte, tuttavia, è quella del cinema, mentre l’amore, quello dello spettatore, risorge spietatamente e testardamente nell’anelito verso altri lidi dell’audiovisivo. Forse è vero, liberarsi della schiavitù della trama è impossibile, ma è un giogo al quale, e non spiace dirlo, è piacevole sottostare.

Curiosamente in concorso alla Settimana Internazionale della Critica, Venezia 75.