Puglia anni '60: capostazione con qualche frustrato talento per la pittura, Ernesto Rossetti (Sergio Rubini) vive con la moglie Franca (Valeria Golino), il figlio Gabriele (l'ottimo esordiente Guido Giaquinto) e - suo malgrado - il cognato Pinuccio (Riccardo Scamarcio): tra le incomprensioni con un padre poco padrone, la dolcezza onirica e severa della madre e la fascinazione per lo zio dongiovanni, solo da adulto (Fabrizio Gifuni) Gabriele riguadagnerà la giusta prospettiva sul genitore.
Prodotto da Bianca Film e Rai Cinema con budget di 5 milioni di euro, distribuito da 01, scritto con Carla Cavalluzzi ("Per me è un Pinocchio moderno") e Domenico Starnone, L'uomo nero è la decima regia di Rubini: "Se uno non torna a sé, che racconta?", dice il regista, che sul filo dell'autobiografia (suo papà è ferroviere e artista) costruisce una piccola storia formato famiglia per intercettare la Storia d'Italia, quella delle origini e della nostalgia per le origini.
Se altrove (Baaria) si hanno budget kolossali ma “braccia troppo corte” per farla propria, Rubini si mette al servizio della Storia con dichiarato e sincero minimalismo, mettendo alla gogna l'immobilismo del Meridione e il pregiudizio dello Stivale tutto, puntando sulla propria vita e la propria arte: L'uomo nero è un film autobiografico e d'attori. Ottimamente diretti: Scamarcio è in parte, la Golino osa con misura, Gifuni è corrucciato quanto serve, Vito Signorile e Maurizio Micheli non fanno rimpiangere il Gatto e la Volpe collodiani. Uomo nero, ok, ma non si può averne paura.