I bambini amano il Natale, i regali sotto l’albero e i pupazzi di neve. Il piccolo Olaf di Frozen ha conquistato il mondo, e anche Michael Keaton, quando è tornato dall’aldilà in Jack Frost, si è reincarnato in due palle bianche con una carota al posto al naso. Questa volta il classico simbolo delle vacanze di fine anno si trasforma in un presagio di morte, in un monito all’apparenza innocente, mentre l’assassino attende l’oscurità nel bosco. L’uomo di neve proietta la platea in una Oslo fredda, glaciale, dove tutto tende al bianco. I sentimenti si spengono nei continui fiocchi che cadono dal cielo, e anche i poliziotti, invece di essere un simbolo rassicurante per la gente, preferiscono il collo della bottiglia al calore del focolare.

Harry Hole è il detective più famoso della città. Ha risolto molti casi che sembravano impossibili e il suo volto finisce spesso sulle prime pagine dei quotidiani. Lo chiamano “il grande Harry Hole”, ma la notte lo si può incontrare mentre dorme su una panchina, sbronzo e senza speranza. Il suo ego, e il suo passato, distruggono ogni affetto, e ora è solo un’ombra che si aggira nella notte, alla ricerca del prossimo psicopatico da sbattere in cella.

I matti assetati di sangue non finiscono mai, e alcune donne iniziano a sparire al calar delle tenebre. In comune hanno un figlio che le aspetta a casa e una relazione complicata con il marito. Il protagonista si prepara a inseguire il killer, a sfidare la morte, ma anche a diventare lui stesso una preda. I cacciatori non sfoggiano sempre un distintivo, e la cattiveria umana non ha limiti. Il sangue scorre, la lista delle persone scomparse si allunga, e il bel tenebroso di turno sfida i ghiacci in nome della giustizia.

Michael Fassbender è l’investigatore senza paura, l’Harry Hole nato dalla penna di Jo Nesbø. La sua espressione sofferente coinvolge ed è forse l’elemento che più si avvicina ai thriller sanguinosi dello scrittore norvegese. Il film cerca di cogliere le tante sfumature del romanzo, ma si ferma a meno della metà. Le atmosfere dark non mancano, però la storia è ben lontana dal darci le stesse emozioni dell’epopea scritta, e resta la didascalica trasposizione di un’indagine da brividi.

L’uomo di neve è un noir insipido, che scopre troppo presto le carte e non sfrutta il carisma dei suoi interpreti. J.K.Simmon sembra spaesato nel ruolo del ricco vizioso e Val Kilmer è irriconoscibile. I flashback, figli della materia letteraria, non aggiungono nulla alla vicenda e ci fanno rimpiangere le opere passate del regista. Tomas Alfredson aveva diretto l’ottima spy story La Talpa e l’horror Lasciami entrare, un’opera potente che aveva stregato anche gli americani.

Dietro la macchina da presa doveva esserci Martin Scorsese, che poi è rimasto tra i produttori. Forse l’uomo di neve sarebbe stato un film diverso, più inquietante e profondo. Ma la carriera cinematografica di Harry Hole non morirà sommersa dalla neve, e lo ritroveremo ancora per la regia di Tobey Maguire e Denis Villeneuve. Lunga vita al re degli investigatori al gelo.