Potere. La seduzione e la minaccia del potere. E' questo il focus de L'ultimo re di Scozia diretto da Kevin Macdonald, nipote d'arte (Emeric Pressburger) e apprezzato documentarista (Touching the Void - La morte sospesa). Uganda, anni '70: il giovane medico scozzese Nicholas Garrigan (James McAvoy) arriva in missione, fa le vaccinazioni di rito, apprezza le bellezze locali, e ben presto entra in contatto con il neo-presidente del Paese africano, il generale Idi Amin (Forest Whitaker). Portato a corte quale medico personale, diviene poi braccio destro di Amin e testimone delle efferatezze del suo regime, storicamente responsabile di 300.000 morti. Da mera documentazione a complice certificazione, il passo è breve: Garrigan vacilla, cerca e trova conforto tra le braccia di una delle tre mogli di Amin, tenta di avvelenare il tiranno e di portare a casa la pelle. Tratto dal romanzo di Giles Foden, L'ultimo re di Scozia è un eccitante thriller ambientato in Africa, una cruda riflessione sui meccanismi del potere e uno star-vehicle d'eccezione per Forest Whitaker e James McAvoy. Quale thriller, funziona non poco, offrendo allo spettatore atmosfere oscure e ugualmente arroventate, sequenze affascinanti (il party notturno) o brutali (la tortura e le immagini dei cadaveri seviziati) e una costante sensazione di pericolo, rispetto alla quale il commento musicale pare sovente pleonastico se non fastidioso. Il discorso sul potere, sulla sua forza centripeta e omologante, non è mai una tesi discussa a latere, ma incollata alle immagini del film, popolato come la Storia da piccole e grandi figure virate in grigio. Fronte recitazione: Whitaker è straordinario, i 14 riconoscimenti (tra nomination e premi) finora rastrellati rendono giustizia al suo trasformismo e alla complessità di cui investe Amin. Ancor più meritevole, dunque, la prova del 28enne McAvoy, che rischiava di scomparire nel cono d'ombra dell'attore americano e invece dimostra di poter diventare, almeno, il nuovo Ewan McGregor.