Per essere completamente riuscito, Laitakaupungin valot (Le luci del quartiere) di Aki Kaurismäki ha qualcosa di troppo: la parola. Koistinen, il piccolo uomo che neppure nelle peggiori corcostanze perde la speranza, evoca personaggi-icona come il Vagabondo di Charlot; la sua storia ricorda quella di don José, la guardia vittima delle seduzioni di Carmen. Una Carmen bionda, nel caso, che fa innamorare il guardiano di un grande magazzino di Helsinki per consentire al proprio amante di svaligiarlo. Vittima predestinata di chiunque, amato in silenzio dalla padrona di un chiosco di salsicce, Koistinen non si lamenta della propria vita da cani; quando la giustizia lo condanna a pagare per tutti, non denuncia chi lo ha tradito; solo alla fine, stremato, accetterà un gesto di solidarietà e di amore. Pur sapendo dove Kaurismäki ci vuole portare, seguiamo volentieri il suo film di piani e sguardi fissi, in equilibrio delicato (ma sempre padroneggiato) tra nichilismo e tenerezza. Le parole però, ancorché contate, finiscono per essere di troppo. Più significativa la presenza della musica: dalla canzone Volver (bizzarra la coincidenza con Almodóvar) sui titoli di testa alle arie di Tosca e La fanciulla del West, echi del melodramma al servizio di un mélo raffreddato. Se non ci sbagliamo, invece, il monologo dello scorpione ascoltato dal protagonista è una memoria dell'Age d'or di Luis Bunuel.