Primo film italiano presentato in al 33. Torino Film Festival è Luce mia di Lucio Viglierchio. Un documentario nudo e crudo come fonte di testimonianza e condivisione. Lucio e Sabrina Caggiano si incontrano nel reparto di oncologia. Lucio riceve una telefonata di sera, prima di uscire con gli amici, è l’ospedale che gli dice di avergli diagnosticato la Leucemia Mieloide Acuta. È aprile 2010 e il mese dopo inizia il primo ciclo di chemio. Un anno dopo la sua resistenza alla vita risponde con altra vita, la notizia che sarebbe diventato di lì a qualche mese papà di Nora. Oggi Lucio sta bene, anche se ogni mese deve fare i controlli.

Luce mia nasce da una sua idea, quella di provare a raccontare la malattia e la voglia di restare attaccati alla vita. Cosa si prova nell’attesa di un donatore, durante la chemioterapia e dopo? Lucio, ha trascorso un anno difficile entrando e uscendo dall’ospedale, ce l’ha fatta, ma qualcosa in lui è cambiato. Decide così di tornare in quelle stanze, in quei corridoi in cui in un primo momento era solo, in regime di isolamento e lontano dal poter avere un contatto fisico con chiunque altro e tra persone sconosciute, medici e infermieri diventati in seguito la “sua” famiglia. Tornato in ospedale incontra Sabrina e in lei riconosce se stesso, diventa il suo specchio. Insieme decidono di documentare il “calvario” della malattia. Insieme lottano, non si arrendono. Dopo due anni Sabrina finalmente può fare il trapianto, ma il suo corpo non reagisce bene. Poco meno di un anno e lo specchio di Lucio “si spezza”.

Luce mia documenta il dolore ma non la paura, la forza ma non lo smarrimento, di una donna decisa a reagire, a non arrendersi al male. Le immagini della vita in ospedale si alternano con quelle della piccola Nora che intanto cresce, una nuova vita. La voce off di Lucio commenta il percorso di condivisione, che pian piano diventa ancor più voglia di comunicare con gli altri. “Internet mi ha ricordato che fuori c’era gente che lottava per me”, dice. Così l’esperienza di Lucio e Sabrina viene raccontata anche sul profilo Facebook di lui e su un blog in comune. Un piccolo documentario, anche abbastanza amatoriale, ma intimo e forte. Forte per il tema e per il coraggio di sopravvivere, di “restare attaccati” alla vita.