Non tutti i tagli non vengono per nuocere. Love for Life, primo lungometraggio autorizzato dal governo cinese sullo scandalo AIDS dei mercanti di sangue, durava 150', ma per logiche commerciali il regista Gu Changwei ne ha dovuti rimettere nel cassetto 50: si sente, e si vede, perché - par di capire - il radicamento sociale, l'analisi lucida e dolorosa stava proprio lì. Viceversa, Zui Ai (titolo originale) è diventato l'amore ai tempi dell'AIDS, con due star (Zhang Ziyi, Aaron Kwok) a scambiarsi effusioni, mélo a ruota libera e campi che vanno dal medio al close-up senza dire alcunché delle ricadute sociali di questa peste e senza, al contempo, far assurgere i personaggi a cifra simbolica, immaginifico exemplum del misfatto.
Taglia e ritaglia, l'avvio è in folle medias res: il 12enne Xin muore, ed è lui il narratore che rivela come il padre Qiquan trafficante di sangue abbia portato molti villici a contrarre l'AIDS: come? Troppa grazia, comunque facciamo la conoscenza di suo padre Zhu e suo fratello infetto Deyi (Aaron Kwok). Per riparare ai danni del figlio maggiore, Zhu offre la scuola quale ricovero per i malati di AIDS: un compound coatto, dove finisce pure Qinqin (Zhang Ziyi), moglie del cugino di Deyi. Tra questi e la bella del villaggio sarà amore extraconiugale, con tutti gli ostacoli familiari e comunitari del caso…
Non serve dire altro, se non che qui l'AIDS è malattia pastorizzata, anestetizzata (tranne in Deyi, ma neanche troppo) e dal mondo si prende commiato senza occhio ferire, con grande stile ed eleganza: se il governo ha dato il placet, il Cinema l'ha ritirato.