Ottima sceneggiatura, attore eccezionale. Non serve altro. A Locke di Steven Knight (Fuori concorso) l'essenziale basta e avanza per costruire un momento - 85', girati quasi in tempo reale - di cinema totale.
Arriva dal cielo la mdp, per prendere la prima corsa utile, a bordo di una delle tante carovane umane di passaggio sulla terra. Una qualsiasi, però esemplare.
Si mette dietro, poi accanto, poi ancora dietro, a Ivan Locke, un uomo che ha appeno preso una decisione che cambierà per sempre la sua vita. Non possiamo dire di più.
La sceneggiatura di Knight (autore tra l'altro dello script della cronenberghiana Promessa dell'assassino) è costruita per stratificazioni successive. Come un edificio che prende forma pian piano. Questo forse si può dire: Ivan Locke è un capomastro, lavora con il calcestruzzo, è il più apprezzato operaio d'Inghilterra. Anzi, come dichiara un amico: è il miglior uomo d'Inghilterra. Niente di più indimostrabile ovviamente, non fosse altro perché il protagonista sta cercando di raddrizzare una situazione che si è messa male, molto male, per colpa sua. Non diremo altro, davvero. Aggiungeremo solo che tutto ci viene svelato a tempo debito e sempre dentro lo spazio stretto dell'abitacolo.
Locke, cui Tom Hardy fornisce un'interpretazione di impressionante intensità emotiva, è come un odierno Caronte in direzione ostinata e contraria: deve traghettare la sua anima dall'inferno, in cui lo spingerebbe l'inerzia della cose, alla salvezza, dove vorrebbe portarlo la sua determinazione e ansia di redenzione.
In questo on the road tra buio e luce - che la fotografia esalta con un sapiente gioco di trasformazioni cromatiche, sfumature, dissolvenze incrociate: dal giallo al nero e ritorno - Locke è solo, ma in costante tensione dialogica. A scandire il tempo della narrazione e le tappe del viaggio sono le telefonate che continuamente fa e riceva mentre procede, inflessibile, sulla sua strada. Telefonate che in un crescendo di tensione, ora stringono ora allargano intorno a lui la tenaglia degli eventi. La situazione non è sotto controllo.
Nell'abitacolo, con Locke, ci siamo noi, il suo viaggio il nostro. Sopravvivere alle conseguenze di ciò che facciamo, la meta. Un'ora può spazzare via tutta un'esistenza. Un'altra può rimetterla in piedi. Sempre capaci delle cadute più fetide e di risalite insperate, combattiamo e speriamo con Locke. Abbiamo una macchina e un cellulare. Equipaggio di ogni guerra moderna. Contro chi, che cosa? Ma il "padre" di tutti i nostri guai, naturalmente. Quello a cui si rivolge Ivan guardando lo specchietto. Come il tassinaro De Niro. Il nemico con la nostra faccia. Il Godot che non arriva, che non arriverà. Se non saremo noi ad andare da lui. Se non avremo il coraggio di puntare dritti, e via. Sapendo che per arrivare ci si può smarrire. Che vincere significa a volte perdere tutto. Buon viaggio.