Le bandiere degli altri, i vinti, sono macchiate di sangue e meritano rispetto e pietà. I vinti, per le circostanze aleatorie della Storia, sono i nemici di una stagione ma restano comunque degli esseri umani. I vinti - come i vincitori - desiderano soprattutto tornare alle loro case e ai loro affetti. Le idee dei vinti non sempre si identificano completamente con le idee  del loro Paese anche se questo non impedisce  di sacrificarsi e di morire con onore e con dignità. Di suicidarsi piuttosto che di arrendersi come stabilisce e impone una cultura millenaria. Lettere da Iwo Jima, seconda parte del dittico diretto da Clint Eastwood sulla cruenta, lunga  e feroce battaglia per la conquista dell'omonima isola, completa l'affresco bellico di Flags of Our Fathers e ricostruisce gli eventi che hanno portato alla disfatta nipponica, dal punto di vista di chi ha combattuto contro le  truppe statunitensi sbarcate in massa. La macchina da presa  gira su se stessa di 180° e  la regia imposta ed elabora un magnifico, empatico, sensibile, solidale controcampo che dura un intero film. I militari senza volto, nascosti nella viscere della cinerea isola che bombardavano e massacravano  i centomila soldati americani, ora sono al centro dell'azione con le loro convinzioni rigidissime, le loro paure, i loro rimpianti, le loro memorie, la parole e i disegni delle loro lettere mai spedite a casa, fonte primaria e indispensabile per la sceneggiatura di Iris Yamashita. L'azione ha inizio nel 1944 quando il generale  Tadamichi Kuribayashi (interpretato da un sobrio e ieratico Ken Watanabe da nomination all'Oscar) arriva sull'isola e prende il comando dei ventimila uomini (i superstiti saranno appena 1083) che presidiano quel nodo strategico e geografico. Il nuovo comandante, incurante delle ostilità e delle diffidenze degli altri ufficiali, imposta un nuovo piano di difesa. Ordina di spostare l'artiglieria dalle trincee scavate sulla spiaggia e di costruire un reticolo di tunnel dove armi e uomini potranno resistere all'avanzata, procurare danni molto pesanti (moriranno circa settemila soldati americani e ventimila resteranno feriti) e ritardare l'inevitabile sconfitta: il quartier generale avverte che non ci sono rinforzi né navi d'appoggio né copertura aerea. La battaglia è perduta prima che si spari il primo colpo, ma l'etica militare, l'amore per  il proprio Paese, la fedeltà all'Imperatore, le speranze e le ansie di chi aspetta in Giapppone (la radio trasmette la canzone di propaganda che inneggia ad Iwo Jima), il desiderio sommesso di rivedere, un giorno, moglie e i figli e  le leggi della guerra costringono a difendere, palmo a palmo, quel frammento roccioso del Pacifico trasformato in uno sterminato cimitero. Clint Eastwood così come aveva reso omaggio ai caduti americani e ai soldati semplici di un eroismo antiepico in Flags of Our Fathers, in Lettere da Iwo Jima  rende l'onore delle armi agli sconfitti e riesce, con misura e con finezza, a portare sullo schermo la cultura e la sensibilità dei   "nemici". Da una parte e dall'altra, uomini e non militari, persone e non numeri di matricola, soggetti complessi e non carne e sangue da computare sul registratore di cassa della Storia. Kuribayashi porta nella fondina una colt con l'impugnatura di madreperla che gli è stata regalata in un suo soggiorno non dimenticato negli Stati Uniti, il soldato Saigo (l'attore e rock-star Kazunari Ninomiya) non si rassegna all'assurdità della guerra e vorrebbe tornare al suo negozio e  alla sua vita semplice con la donna che ama e con la figlioletta che sta per nascere, il barone Nishi (Tsuyoshi Ihara) cavaliere olimpico che ha incontrato Mary Pickford e Douglas Fairbanks, Shimizu (Ryo Kase), sospettato dai commilitoni di essere una spia, e tutti questi  personaggi parlano, per volontà saggia del regista, nella loro lingua. Rispettare gli altri significa anche rispettarne la cultura, il linguaggio, il lessico, i pensieri  espressi da un idioma diverso dal nostro. La guerra è un'esperienza terribile e condivisa. È un atroce cross-over globale. E Lettere da Iwo Jima è un vibrante film giapponese e un altro ammirevole film eastwoodiano.