Va tutto bene, italiani? Mica tanto. La crisi economica stritola l’uomo comune e lo costringe a una guerra continua per un piatto di minestra la sera. C’era una volta un decreto chiamato “Salva Italia”, ma fece nascere solo una nuova categoria: gli esodati, ovvero chi si è trovato escluso dal mondo del lavoro e molto probabilmente non vedrà mai la pensione. È la storia di Francesca ne L’esodo, ma è anche la disgrazia di migliaia di persone che si trovano nella sua stessa condizione.

 

Lei ha sessant’anni e una nipote a carico. La figlia si è persa nel buio della tossicodipendenza, e le ha lasciato Mary, un’adolescente che disprezza la miseria e vorrebbe avere un cellulare da urlo nella tasca dei pantaloni. Francesca è una nonna amorevole, piena di buoni propositi, ma rischia di perdere la casa, e il suo conto in banca si avvicina allo zero. L’unica soluzione è inginocchiarsi in Piazza della Repubblica, a Roma, e sperare nella carità dei passanti. Mentre si trova all’ultimo stadio, conosce Peter, un pittore tedesco con la moglie malata, e Cesare, un coatto dall’animo misterioso.

Francesca non è la classica barbona abbandonata sul marciapiede: conserva la sua dignità e non è mai sporca e sciatta, nasconde come può i suoi problemi. Incarna una nuova povertà, che il regista Ciro Formisano, alla sua opera prima, sostiene con animo militante. In lontananza si sentono gli echi del cinema di Ken Loach, sempre dalla parte del più debole. Ma Formisano eccede in retorica e ammicca fin troppo alla platea. Nonostante le nobili intenzioni, la protesta silenziosa di una donna non riesce a diventare, come vorrebbe, un manifesto per tutti coloro che hanno perso la possibilità di vivere dignitosamente.

Nel film, la protagonista finisce per attirare l’attenzione di giornalisti e personalità del mondo del cinema. Viene trasformata in una bandiera di chi ha tante ragioni per protestare, e in molti le chiedono addirittura un selfie. In un dialogo surreale, Francesca si confronta con la ministra Fornero in persona, che a suo tempo fece la riforma delle pensioni, e le regala un ritratto perché lo esponga in bella vista nel suo salotto di ricca borghese. La dimensione onirica si fonde con la cruda realtà, fatta di indifferenza e disperazione. I benestanti si tengono stretti ai loro interessi e ignorano i bisogni di tutti gli altri.

 

Nella prima parte la storia è attraversata dal traffico e dai rumori di Piazza della Repubblica, poi si concentra sulle dinamiche familiari. Mary non capisce le difficoltà della nonna e rende le sue giornate sempre più angosciose. Per l’adolescente spensierata, Francesca è solo una perdente di cui vergognarsi davanti alle amiche. L’ambizione di fare un film quanto mai necessario su una condizione umana cede il passo a una facile e fragile narrazione.

L’esodo convince a metà ed è un peccato, perché porta sul grande schermo un dramma ingiustamente trascurato. Peccato che la macchina da presa non trovi sempre uno sguardo sincero e cerchi invece un esibizionismo fuori luogo.