L'ignoranza è responsabile di tutti i mali e l'istruzione è il gladio della Repubblica, ricorda il preside alla fine dell'anno scolastico. Vero, verissimo. A patto però che poi arrivi il tanto sospirato rompete le righe, e le vacanze sovvertano per un momento l'insostenibile rigore della vita. Inizia così la breve ma intensa parentesi escapista del piccolo Nicolas, il beniamino di tutti i bambini di Francia, nato dalla penna di René Goscinny e dalla matita di Jean Jacques Sempé, alla seconda puntata su grande schermo dopo il successo de Il piccolo Nicolas e i suoi genitori (2009).

Ritroviamo alla regia Laurent Tirard, con la sconclusionata famiglia Boisselier formata nuovamente dal giovanissimo Jean Marie Leroy e da due veterani come Valérie Lemercier e Kad Mérad, rispettivamente mamma e papà di Nicolas. Insieme alla temibile nonna (Dominique Lavanant), vanno tutti al mare, all'Hotel Beau Rivage, e ne combineranno delle belle. Papà Boisselier vacilla alla vista di una bella turista tedesca, ma poi deve preoccuparsi di non farsi scippare la moglie da un fascinoso produttore cinematografico italiano (il nostro Luca Zingaretti); la suocera non aiuta e lo pungola di continuo paragonandolo al vecchio fidanzato della figlia, decisamente più charmant; e il piccolo Nicolas? Spedisce lettere d'amore alla bella vicina di casa da cui si è separato per le vacanze, consolandosi con amici nuovi e agitandosi per futuri progetti matrimoniali che i suoi genitori avrebbero già previsto per lui e che riguardano una bambina dagli occhi fissi e sinistri di nome Isabelle. Nicolas farà di tutto per sabotarne i piani.

Pur con tutti i contrattempi, queste Vacanze non potrebbero essere più spensierate, merito di una scrittura leggera e una regia che non pesa di più, a immagine di un mondo integralmente infantile. La fedeltà all'universo di Goscinny è preservata, a prescindere dall'adesione al modello originale (un solo albo incentrato sulle vacanze di Nicolas, da cui peraltro Tirard si discosta un poco), dunque atmosfere retrò, umorismo ingenuo e colori pastello. Il ritmo è modulato sul bric a brac narrativo, uno spezzatino di situazioni che intende replicare il modo in cui funziona il cervello di un bambino.

Pura evasione, amplificata dal decor, la moda e le musiche dei favolosi anni 60.

Qualcosa a metà strada tra Monsieur Hulot e Sapore di mare, con qualche tocco surreale (alla Wes Anderson, rivendica il regista) e un paio di citazioni horror, da Psyco eShining.

Il risultato, pur se vietato ai maggiori, è tutto sommato gradevole.