A Roma oggi. Il 34enne Giovanni Canton  è un affermato 'trainer motivazionale'. Il suo carisma gli permette di riempire teatri con ammiratori di varie età, considerato da alcuni un profeta da altri un cialtrone che sfrutta le debolezze altrui. Deciso a mostrare l'autenticità delle proprie teorie, Canton organizza un concorso per selezionare tre persone che verranno portate al raggiungimento dei loro desideri. Dal gruppo emergono Matilde, 32enne assistente dell'editore e anche sua amante; Ernesto, 60enne che nasconde alla moglie sulla sedia a rotelle di essere stato licenziato; Luciana, segretaria di un Vescovo in Vaticano e autrice in segreto di romanzi molto espliciti. Giovanni ritiene di poter gestire il destino di queste persone, ma una serie di circostanze produce effetti inaspettati nella vita sua e dei tre 'concorrenti'.

Al terzo film come regista (dopo Parlami d'amore, 2008; Un altro mondo, 2010), Silvio Muccino dichiara in conferenza stampa di aver preso spunto da una realtà estremamente diffusa, fino al rischio di inflazione e banalità, negli Stati Uniti; meno forse ma non in toni meno importanti in Italia: "Diretta conseguenza - dice - dello spaesamento di oggi: i 'life coach' sono i veri figli della crisi, in un mondo in cui nessuno sa come realizzare i propri sogni, si propongono come coloro che hanno la risposta pronta". Per la prima ora (ed oltre) questo succede: Canton usa un cinismo neutro e ferreo per convincere i tre ad andare avanti verso il traguardo. Ma di fronte all'ostinazione, ai dubbi, agli ostacoli non superabili, alla necessità di scelte che significano rinunce definitive, qualcosa si incrina. Per farla breve, il sentimento prevale e induce i protagonisti a guardare le cose con un altro occhio. Insomma non abbiamo bisogno di maschere ma di essere con semplicità noi stessi e di trovare negli altri la giusta armonia. Arriva un lieto fine da racconto romantico, poggiato su una regia nelle intenzioni più varia e aggressiva, su sbalzi caratteriali forse un po' sopra le righe  su una tenuta narrativa in generale alquanto 'costruita', prevedibile, manierata. Non sempre le buone intenzioni sono paganti e in questo caso la svolta ‘moderata’ provoca più dispersività che compattezza.

Muccino si dimostra smaliziato e furbo, pronto ad usare uno sguardo obliquo di patinata ambiguità, fintamente cattivo e altrettanto fintamente buono. Lo dicono gli interpreti che (da Nicole Grimaudo a Maurizio Mattioli da Carla Signoris a Muccino stesso) sembrano rincorrere ruoli che si allontanano sempre più da loro. Muccino (scrittore con Carla Vangelista), attore e regista forse pretende troppo. La verità non abita da queste parti.