È una prova del fuoco per il rampante Antonio Folletto, volto antico e piglio guascone, il ruolo di Denis, il protagonista di L’amore non si sa, debutto nel lungometraggio del cortista Marcello Di Noto. Lo è perché il suo Denis è un personaggio eccentrico rispetto alle consuetudini del cinema italiano d’oggi, così timido nel riportare in primo piano quelle che un tempo si chiamavano canaglie (non ci sono più le sfumature di una volta).

E per restituire il decentramento emotivo di un difettoso che finge di mostrarsi sempre all’altezza della fama da donnaiolo che non deve chiedere nulla, Folletto ci mette ironia e compassione, un po’ erede di una tradizione di simpatici mascalzoni e un po’ figlio di una generazione abituata a ipotecare i sogni sull’altare delle esigenze.

Seguendo una storica regola non scritta, Denis conquista soprattutto perché vive con, per e di musica: lavora e si diverte grazie al business neomelodico e non si fa troppi problemi pur sapendo che dietro c’è la mano della malavita. E tutto sembra andargli bene finché non finisce in mezzo a un regolamento di conti: fino a che punto può reggere l’omertà?

Ci penserà Marian (Silvia D’Amico, appassionata e libera, così lucente eppure capace di preservare le tenebre emotive) ad accompagnarlo verso un percorso di emancipazione dalle frequentazioni criminali. Senza afflati eroici, si ribella al destino affidandosi all’istinto di sopravvivenza e alla fiducia nei confronti del futuro.

Come altri esordi italiani, L’amore non si sa ha l’audacia di collocarsi all’interno di territori ampiamenti esplorati (anche geograficamente, cioè la Puglia) adottando uno sguardo svincolato dalle aspettative. Non perdendo mai la bussola di un approccio beffardo rispetto a temi che di norma avrebbero prodotto drammi, al di là dell’apporto credibile di un cast ben intonato (c’è anche Diane Fleri), si riverbera soprattutto nella luminosa fotografia di Giuseppe Pignone in dialogo con l’importante apparato musicale di Michele Braga.

È davvero in questa congiuntura che il piccolo film trova la sua cifra, tra i cromatismi filtrati dalla calura e dalla polvere in grado di rimandare a una suggestione onirica e una colonna sonora capace di sedimentarsi nel tessuto narrativo quasi proponendosi al pari di un ideale musical: evitando le secche del realismo, pur con qualche ingenuità di troppo, Di Noto offre una commedia inconsueta e rocambolesca, esuberante e malinconica.