Timidi applausi della stampa hanno accolto L'amico di famiglia di Paolo Sorrentino, il secondo italiano in concorso al Festival di Cannes. Dopo l'iperrealista L'uomo in più e l'enigmatico Le conseguenze dell'amore, erano in molti a chiedersi che strada avrebbe intrapreso il regista napoletano. La risposta è un film spiazzante, che coniuga la commedia con il grottesco, il ritratto intimo con l'indagine sociale. L'universo è quello di una provincia italiana povera ma bisognosa del superfluo, costretta a fare ciò che molti connazionali, lo dicono i dati ufficiali, fanno: chiedere prestiti. Purtroppo quando non si hanno garanzie da fornire alle banche si ricorre agli strozzini, ed è qui che entra in scena Girolamo, il laido protagonista. "Cravattaro" per diritto di famiglia, anche il padre che lo ha abbandonato bambino lo era, il nostro si muove lungo i muri come un ombra, fintamente benevolo è sempre dove c'è bisogno di lui, vive in una casa fatiscente con la madre paralitica, non si muove per non respirare, in compenso è carico di soldi. Tanti soldi, piu di un milione di euro. Frutto del duro lavoro, pensa lui, ma i tanti che ha rovinato e persino l'unico amico non ne sono affatto convinti. Uno come Girolamo soccombe solo di fronte all'amore, che puntuale arriva a mischiare le carte sotto le sembianze di una ventenne ambiziosa e senza scrupoli. Rivelare di più in questi casi è un delitto, basti però dire che nulla è come sembra. Quello che invece va detto è che L'amico di famiglia è il film piu ambizioso di Sorrentino, il più scritto dal punto di vista dei dialoghi e degli intrecci narrativi, il più ricercato sotto il profilo delle immagini, il più pignolo nel lavoro sugli attori, non per questo il più riuscito. Pesa sul risultato l'eccessiva cura, anche se potrebbe sembrare una contraddizione. Si sente che Sorrentino ha speso sul progetto enormi energie, tuttavia l'impressione finale è che i tasselli che compongono il quadro messi uno accanto all'altro non combacino perfettamente come invece accadeva ne L'uomo in più, che pure seguiva due vicende parallele. Resta in ogni caso un film pieno di pregi. Il regista si è provato sul terreno del grottesco caro a molti autori spagnoli e messicani, primo tra tutti Ripstein, che il cinema italiano non è mai stato in grado di dominare. Usa gli attori in modo sorprendente, a cominciare da Fabrizio Bentivoglio per finire con la vecchia gloria del teatro napoletano Giacomo Rizzo. Regala momenti di vera ilarità seppure affogati in una realtà sulla quale c'è poco da ridere. Sperimenta sul colore, le inquadrature e il montaggio come pochi trentenni provano a fare. Insomma Sorrentino si è preso dei rischi, ed è questo la maggior virtù del suo film.