François Ozon continua incessantemente a rileggere il cinema. La disinvoltura e lo stile con cui riesce a spaziare attraverso i generi lo dimostra questo suo ultimo lavoro, che arriva in concorso a Cannes solamente nove mesi dopo il passaggio veneziano di Frantz, suggestivo mélo in bianco e nero ambientato subito dopo la prima guerra mondiale.

Con L'amant double, Ozon torna ai giorni nostri, recupera la splendida (seppur emaciata) Marine Vacht (Giovane e bella) e la getta nelle grinfie dello psicoterapeuta Jérémie Renier. Che per l'occasione si sdoppia: il primo che conosce è il composto, educato, timido e fin troppo riservato Paul (con il quale finisce per fidanzarsi); il secondo è il suo gemello "cattivo", risoluto, virile, violento, con il quale finisce per stabilire una terapia a base di sesso intensivo. Ma, si sa, situazioni di questo tipo hanno i giorni contati...

Naturalmente tutto quello che avete appena letto è solamente l'incipit di un film che, sulle apparenze, gli specchi, i riflessi, i doppi, le proiezioni (di sé, e degli altri) costruisce tutto il suo impianto visivo e narrativo: che parte con un incipit memorabile, una seduta ginecologica in cui l'introspezione vaginale e quella dello sguardo coincidono, e si sviluppa in un saliscendi di situazioni al limite dell'impossibile, comunque sempre con senso del ritmo e della tensione.

Il rimando a Hitchcock ma, soprattutto, a Brian De Palma e, perché no?, a David Cronenberg (Inseparabili, tanto per dirne uno) è tanto dichiarato quanto divertito.

E pur continuando con il divertissment, Ozon non retrocede di un centimetro per quello che riguarda la suspense: in fondo, che si tratti di un film gemello, parassita (...), è chiaro sin dalla prima volta che vediamo Chloe, la protagonista, salire quell'infinita scala a chiocciola per arrivare nello studio dell'analista.

Da quel momento in poi, la rara anomalia del "fetus in fetu" prende vita... Buon divertimento.