Un attore squattrinato e un detective (squattrinato pure lui) da strapazzo. Il primo ingaggia il secondo per ottenere prove sull’infedeltà della moglie. Seguendo una pista che dire sbagliata è poco, i due vengono in possesso di una valigetta contenente un milione di euro. E da quel momento (ovvio) la loro vita non sarà più la stessa. Nel bene e, soprattutto, nel male…

Carlo Verdone, 24 film e 37 anni dopo l’esordio da regista, cambia ancora. Mette da parte le tematiche affrontate negli ultimi lavori (il conflitto generazionale, le situazioni sentimentali, la malinconia degli affetti) e, sempre in commedia, cerca una nuova chiave per rilanciare in Italia un’idea di cinema di coppia. Per farlo, chiama a sé Antonio Albanese, altro attore che proprio sulla proposta continua di maschere e caratteri ha costruito la propria fortuna, e – insieme agli sceneggiatori Plastino e Gaudioso – dà vita ad un copione agile e meno prevedibile rispetto agli ultimissimi, prestandosi ad un duetto equilibrato e per certi versi “libero”, sfruttando la fisicità di Albanese per riportare a galla il suo genetico talento nel botta e risposta, nella battuta pronta, concedendosi anche qualche antica volgarità che, di tanto in tanto, per operazioni di questo tipo non guasta.

Verdone rifugge qualsiasi tipo di confronto con altri film del passato come I due carabinieri, ma è difficile impedire al pensiero di tornare a quella tipologia di cinema, alla strana coppia che, in maniera del tutto naturale, finisce per ritrovarsi amica partendo da un incontro/scontro e da posizioni diversissime. Come allora (si pensi anche al duetto con Pozzetto in 7 chili in 7 giorni diretto dal fratello Luca Verdone o, perché no, al Sordi di In viaggio con papà), l’altro elemento fondamentale che Verdone finalmente torna a sfruttare è quello dell’apporto dato da caratteristi (irresistibile Virginia Da Brescia nei panni della zia vedova convinta che il marito Renatino sia ancora vivo), divertenti cammei (Giuliano Montaldo anziano generale in pensione che lo ingaggia per ritrovare il gatto fuggito di casa…) e figure di contorno (si pensi alla felice intuizione di assoldare la soprano georgiana Anna Kasyan, scoperta quando ha diretto la Cenerentola, per darle la parte della barista/fidanzata Lena).

Il risultato del film premia quasi del tutto ogni scelta, soprattutto se il metro per giudicarlo – come crediamo vada fatto per opere di questo tipo – è dato dalla frequenza e dal numero delle risate in sala. Verdone è tornato a far ridere, riappropriandosi anche di atteggiamenti, frasi e pose ormai divenute cult (Manuel Fantoni vive e lotta insieme a noi): il sodalizio con Albanese, a questo punto, speriamo possa davvero continuare. Perché, come dice lo stesso regista e attore romano, il cinema ha bisogno di “unire le forze”. Ne va del buon umore dello spettatore.