Una grande passione. Smorzata sul nascere da un gesto apparentemente futile. La "storia d'amore" tra la piccola Mélanie e il pianoforte s'interrompe durante una prova di accesso al conservatorio. La presidentessa di giuria, una celebre pianista (Catherine Frot), si distrae concedendo un autografo ad un'ammiratrice: la magia dell'esecuzione si perde, l'esame non viene superato e il brillante talento della bambina represso per sempre. Dieci anni dopo, del tutto casualmente, Mélanie (Deborah François) inizierà a lavorare nella casa della pianista. La quale, di lì a poco, scoprirà di non poter fare a meno di lei, ottima e sensibile "voltapagine" degli spartiti musicali.
"Il filo conduttore de La voltapagine è la storia di una vendetta (…), che nasconde qualcosa di più ambiguo in cui il fascino e l'attrazione si confondono con la manipolazione", ha dichiarato il regista Denis Dercourt, quasi perfetto nel saper preparare "chabrolianamente" un noir dove si parla poco e dove ogni azione - apparentemente innocua e sincera - è mirata alla completa attuazione di un diabolico piano. Che solo verso il finale, comunque coerente seppur macchiato da qualche inutile eccesso di troppo (lo svenimento della Frot, fino a quel momento straordinaria), sembra perdere dei colpi in termini di impatto e rigore. Da conservare, in ogni modo, l'idea stessa intorno la quale ruota l'intero film: il costante e affascinante "pericolo" rappresentato dalla funzione della voltapagine, sorta di essere invisibile attraverso le cui mani qualsiasi concerto (la vita) potrebbe trasformarsi  in una debacle.