“Il cinema va oltre la cronaca e permette allo spettatore di avvicinarsi in maniera più intima e profonda al vissuto dei protagonisti”. Solamente in questo modo, forse, era possibile ritornare alla tragedia dell’operazione Piombo Fuso messa in atto nel 2009 dall’esercito israeliano.

Stefano Savona, apprezzato documentarista, lo spiega bene con quelle parole. Ma ancora meglio riesce a spiegarlo con Samouni Road (La strada dei Samouni), ospitato alla Quinzaine des Réalisateurs, opera sperimentale che fonde documentario e animazione per raccontare il rastrellamento della famiglia Samouni, contadini che abitano alla periferia della città di Gaza.

Da quando la piccola Amal è tornata nel suo quartiere, ricorda solo un grande albero che non c’è più. Un sicomoro su cui lei e i suoi fratelli si arrampicavano. Si ricorda di quando portava il caffè a suo padre nel frutteto. Dopo è arrivata la guerra. Amal e i suoi fratelli hanno perso tutto. È passato un anno da quando hanno sepolto i loro morti. Ora devono ricominciare a guardare al futuro, ricostruendo le loro case, il loro quartiere, la loro memoria.

Sul filo dei ricordi, immagini reali e racconto animato si alternano a disegnare un ritratto di famiglia, prima, dopo e durante i tragici avvenimenti che hanno stravolto le loro vite in quel gennaio del 2009, quando, durante l’operazione “Piombo fuso”, vengono massacrati 29 membri della famiglia.

Attraverso le sequenze animate, firmate da Simone Massi, possiamo in qualche modo rivivere i momenti chiave della storia di questa famiglia, che non ha ottenuto mai giustizia per quanto subito.

Già nel 2009, Savona aveva realizzato Piombo fuso, documentario realizzato durante gli ultimi drammatici giorni dell'omonima Operazione israeliana: una piccola falla si apriva nell'invalicabile dispositivo del confine tra la striscia di Gaza e l'Egitto permettendo a pochissimi testimoni stranieri di penetrare e documentare il risultato dei bombardamenti aerei e dell'invasione via terra dell'esercito israeliano.

Con Samouni Road, in qualche modo, Savona (anche autore della sceneggiatura insieme a Léa Mysius e Penelope Bortoluzzi) decide di soffermarsi sulla testimonianza dei sopravvissuti, ma senza fermarsi alla semplice constatazione della tragedia. Che pur ricompiendosi “virtualmente”, attraverso l’inconfondibile tratto delle animazioni bianco e nero di Simone Massi, non può lasciare indifferenti.