Trieste. Nadia (Alma Noce) ha 16 anni, le "stanno sul cazzo tutti". Studia all'alberghiero, ma non ha amici. Una mattina, senza motivo, accetta di fare due passi con Brando (Luka Zunic, già visto in Non odiare), coetaneo della zona che vive alla giornata. Il ragazzo abusa di lei. E da quel momento la vita di Nadia cambierà per sempre.

Wilma Labate dirige La ragazza ha volato, da un soggetto dei fratelli D'Innocenzo, anche coautori della sceneggiatura insieme alla regista, "fulminata dalla storia di questa adolescente colta nel clima dell'inerzia che tanto pervade oggi le nostre vite".

E la prima parte del film porta in superficie proprio questo aspetto, seguendo con un nitore indiscutibile e senza alcun tipo di sentimentalismo a buon mercato la quotidianità di questa ragazza, ben interpretata da Alma Noce, a suo modo affascinante ma circondata da un alone di grigiore che soffoca qualsiasi possibilità di confronto.

Non è una vita contraddistinta dal degrado, la sua (e per fortuna il film si allontana dagli ormai soliti lidi del cinema che racconta le miserie della periferia), ma anche nel territorio in cui dovrebbe trovare maggior conforto, la famiglia, i sentimenti sono repressi da una routine di silenzi e cose date per scontate.

Labate insiste molto su questi aspetti, soffermandosi sullo stato d’animo lacerato di Nadia, vittima di una violenza che non potrà essere risarcita in alcun modo possibile.

Il film indaga dunque le conseguenze emotive di un atto spregevole, l’impossibilità di comunicarlo, la lotta solitaria che la ragazza è costretta a combattere con se stessa. Fino a che un evento inaspettato non cambia la percezione delle cose.

Servendosi anche di ellissi temporali abbastanza nette, la regista ci conduce così verso la “nascita” di una nuova storia, aprendo in qualche modo lo spiraglio (sottolineato visivamente da quel dolly ascensionale del finale) verso un altrove meno grigio.

La scelta drammaturgica è tanto forte quanto azzardata, in un certo senso spiazzante rispetto all’indirizzo conosciuto dove fino a quel momento era stato instradato il racconto.

Probabilmente una decisione che in riscrittura ha modificato anche la conclusione stessa del film. Ma è comunque a suo modo figlia di una logica secondo cui, spesso e volentieri, la vita è molto più contraddittoria della finzione stessa.