Portare al cinema un best-seller è sempre un rischio. Farlo con una graphic novel di culto è operazione ancora più delicata. Specialmente se il “fumetto” in questione si allontana dalle logiche ormai ipertrofizzate di contenuti supereroistici e affini.

Il fenomeno Zerocalcare – che ad oggi vanta già nove volumi pubblicati, oltre a 4 storie brevi – è in continua espansione: Michele Rech (il vero nome che si cela dietro allo pseudonimo) è riuscito ad ampliare il proprio successo senza per questo arretrare di un millimetro rispetto al proprio modo di essere, né in termini artistici né politici né “umani”.

Ed è proprio questo groviglio di elementi a caratterizzarne, dal 2011 a oggi, la produzione: La profezia dell’armadillo (il suo primo libro) rappresenta da questo punto di vista il manifesto di una poetica capace di non scendere mai a compromessi, proprio perché profondamente radicata su un modus vivendi.

Trasferire dunque il tutto su un altro supporto, adattarne lo spirito per una narrazione cinematografica è impresa non da poco. Impresa che, tra l’altro, ha subito varie peripezie: basato su una sceneggiatura firmata dallo stesso Zerocalcare, insieme a Oscar Glioti, Valerio Mastandrea e Johnny Palomba, il film doveva essere inizialmente diretto da Mastandrea. Poi la regia è passata nelle mani dell’esordiente Emanuele Scaringi, in Fandango dal 2001, già collaboratore di varie sceneggiature e autore di corti e documentari.

Al netto di tutte queste (doverose) premesse e considerando il recente post sul blog di Zerocalcare, è naturale che il film NON potrà mai essere la stessa cosa.

Basandosi su quel testo di partenza, provando a non tradirne lo spirito ma discostandosene per alcuni elementi, La profezia dell’armadillo (il film) segue le giornate di Zero (Simone Liberati), disegnatore 27enne della periferia romana (Rebibbia, obviously), che si arrabatta come può tra ripetizioni di francese e cronometrando le file ai check-in degli aeroporti. In attesa di un colloquio per uno studio grafico, viene a sapere che Camille, una vecchia compagna di scuola, nonché amore mai dichiarato, è morta.

Insieme a Secco (Pietro Castellitto), amico di sempre e disadattato quanto (anzi più di) lui, cerca di trovare un senso a tutto questo, tra ricordi d’infanzia e una madre computer unfriendly (Laura Morante), tra asfissianti sortite a Roma Nord e a Roma centro, comunque affiancato dall’inseparabile Armadillo (Valerio Aprea), col quale conversa quotidianamente (tra paradossi e polemiche) sull’andamento dell’esistenza.

“Così come nei fumetti di Zero il protagonista è liberamente ispirato a Michele, nel film abbiamo creato un protagonista che è liberamente ispirato ai fumetti di Zero. Quindi il grado di separazione tra Michele Rech e Simone Liberati è grandissimo. È un'opera di fantasia, anche perché il linguaggio cinematografico è molto distante da quello del fumetto”.

Rubiamo questo virgolettato di Oscar Glioti rilasciato tempo fa a Repubblica.it per rafforzare in qualche modo quanto spiegato dallo stesso Zerocalcare nel post a cui facevamo riferimento poco sopra e, allo stesso tempo, per evitare che all’attore non venga riconosciuto comunque quanto merita: insieme a Pietro Castellitto (veramente sorprendente) riesce a dare vita ad irresistibili momenti, in un buon mix di comicità e malinconia, che poi è la cifra stessa del film, tutto sommato opera genuina sulla difficoltà di affrontare l’incomunicabilità, l’elaborazione del lutto, l’assenza totale di certezze da parte di un’intera generazione, quella dei “tagliati fuori”, che alle feste (dove vengono portati a forza) se ne stanno in un angolo, provando a spiegare la differenza tra gli zombie (“proletari”) e i vampiri (“tronisti”, “aristocratici”) per sentirsi rispondere: “Ma quant’anni c’hai te?” – “27.” – “E n’è mejo la fregna, no?”).

È inevitabile, lo è sempre e in questo caso lo è ancora di più, che i fan più talebani di Zerocalcare si scaglieranno contro il lungometraggio (che tra l’altro regala un esilarante cammeo ad Adriano Panatta e coinvolge anche Vincent Candela, l’ex terzino sinistro della Roma, qui nei panni del padre di Camille), ma basterebbe per una volta avvicinarsi ad un film per quello che è. Un film, appunto, “basato su”.

Cosa che non equivale automaticamente al fatto che l’autore di partenza sia dovuto scendere a chissà quale compromesso.