Il Giappone come luogo di incontro tra il cinema e il teatro. Almeno quello scelto da Frédéric Fisbach, stimato regista teatrale francese al debutto nel cinema con La pluie des prunes. Titolo accattivante ma fuorviante, per un film lontano dal raccontare di prugne o di condizioni atmosferiche. Protagonista è François, regista di teatro, in trasferta a Tokyo per l'adattamento in lingua giapponese di una sua piéce. Ad accompagnarlo è la nonna, donna affascinante ma incapace di parlare per via di un ictus. Due i temi del film, che nasce da un'esperienza personale di Fisbach: le differenze e le similitudini nel modo di fare teatro in Paesi così diversi come Francia e Giappone e - soprattutto - il rapporto di François con la nonna. E per lei il regista transalpino ha scelto una grande attrice italiana, Adriana Asti, indimenticabile nel ruolo di una donna dotata di un grado non comune di vitalità, espressa tanto nella discrezione nei confronti del nipote quanto in vere e proprie "invasioni di campo" nel suo lavoro. Nel suo incedere, la pellicola svela gradualmente i motivi che sottendono alle difficoltà tra i due, e in un certo senso le risolve, tanto che l'anziana riprende a parlare. Lo fa confusamente, mescolando le lingue, elemento che destabilizza lo spettatore ma non François, che ritrova la nonna e il sorriso. Così le due anime si riuniscono proprio laddove dove "altri" avevano creato quel Lost in Translation diventato icona dell'Occidente cinematografico rispetto al moderno Giappone. La pluie des prunes è a tratti esilarante (come la sequenza della scrittura delle cartoline) e a tratti commovente, specie nei non rari momenti in cui nipote e nonna si studiano, osservandosi come due stranieri che hanno solo bisogno di amare e sentirsi amati.