È ovviamente animato da ottime intenzioni La legge del terremoto, l’esordio alla regia dell’attore Alessandro Preziosi presentato come proiezione speciale alla Festa del Cinema di Roma: l’occasione è ricordare il terremoto in Irpinia, di cui il regista è stato testimone da ragazzino. E l’occasione è ghiotta anche per approfondire lo sguardo su altri terremoti.

Infatti il film parte dal Belice (colpito da un sisma nel ’68) e arriva a guardare i molti terremoti che hanno distrutto il paese in questi 50 anni: attraverso testimonianze e immagini d’archivio, ma anche attraverso il coinvolgimento in prima persona di voce e corpo di Preziosi, il film vuole descrivere il terremoto oltre la sua dimensione catastrofica e raccontarlo anche come fenomeno umano e umanitario, culturale e sociale.

credits: Stefania Sapuppo

Un punto di vista interessante quello elaborato da Preziosi con gli sceneggiatori Carmelo Pennisi e Tommaso Mattei e che ruota intorno alla riappropriazione in senso estetico e artistico dei luoghi distrutti (come il Cretto di Burri a Gibellina), spesso a loro volta già opere d’arte, in cui il coinvolgimento in prima persona è coerente. Fino a un certo punto: poi però l’impianto televisivo, il suo andamento, lo stesso Setting delle interviste prendono il sopravvento e il film si limita a inanellare testimonianze e racconti esemplari di vite e ripartenze, cercando sempre una via emotiva, quasi sensazionalistica, che rovina ogni intenzione.

La legge del terremoto dà l’impressione di non sapere cosa raccontare, di non riuscire a mettere insieme un senso concettuale o estetico che leghi le interviste: paradigmatico il finale, totalmente fuori luogo, in cui viene chiesto a intervistati come Pierluigi Bersani o Giulio Sapelli di raccontare il loro “terremoto personale”. Un modo di privatizzare e strumentalizzare in senso privato una questione pubblica e comune che hanno rilevanza molto differente rispetto al matrimonio di un 73enne.