"Sai che cosa mi contraddistingue?”

“La tua umiltà?”

“No, quando sono me stessa”, dice Midge alla sua manager Susie nel deli dove sono solite pranzare.

"Basta spettacoli di apertura. Mi esibirò solo se potrò dire ciò voglio".

È così che Midge Maisel cerca di lasciarsi alle spalle l’incidente con il famoso Shy Baldwin e stabilisce il tono della quarta stagione. Alla fine della terza, infatti, l’avevamo lasciata sulla pista dell’aeroporto, dopo essere stata licenziata dalla famosa popstar statunitense. Perché sul palco dell’Apollo Theatre di Harlem, la signora Maisel si era permessa di fare alcune battute sull’omosessualità di Shy Baldwin, fino ad allora tenuta segreta. Così il suo manager non perde un attimo a licenziarla, l’aereo riparte per la tournée, e Midge rimane a terra con Susie e un considerevole numero di valigie.

Il colpo di scena finale della terza stagione, dunque, sembra mandare in frantumi il sogno della giovane stand-up comedian. “Vendetta”, perciò è la prima parola che Midge pronuncia nello spettacolo che apre il quarto capitolo. Rabbia e disperazione le fanno perdere la testa fino a colpire furiosamente con un albero il taxi che la riporta a casa. Ma poi Midge sa far tesoro delle esperienze negative e riesce a voltare i peggiori drammi in opportunità.

Così si è presentata fin dall’inizio della serie: una giovane donna ebrea, vivace e acuta, che non perde l’ironia e il suo innato ottimismo, neanche nei momenti più bui. Miriam Midge Maisel è riuscita a coronare la vita che sognava: andare al college, trovare un marito, avere figli, possedere un’elegante casa nell’Upper West Side e diventare la perfetta padrona di casa in grado di preparare le migliori cene in città in occasione dello Yom Kippur.

Tutto ciò che era richiesto ad una donna benestante di New York negli anni ’50. Ma la sua vita perfetta prende una piega inattesa quando il marito la lascia improvvisamente per la sua segretaria. Completamente impreparata, Midge è costretta a ripensare la sua esistenza. E quando finisce per caso sul palco del comedy club dove si esibiva il marito, scopre il proprio talento per lo stand-up e inizia a costruirsi una nuova vita. Da casalinga e madre di famiglia, Midge si riscopre brillante attrice comica.

Photo Courtesy of Prime Video/Photographer Christopher Saunders
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Chi ormai conosce Midge quindi sa che l’incidente con Shy Baldwin diventerà per lei un’occasione per reinventarsi ancora una volta. D’altronde a New York è il 1960 e c’è aria di cambiamento. Mentre cerca di affinare il suo show, Midge trova un ingaggio che le permette di avere carta bianca dal punto di vista creativo. Ma l’impegno che mette nella sua arte e il tempo che le dedica la allontanano sempre più da amici e famiglia. Nel frattempo la sua manager Susie sta pensando di espandersi e creare un’agenzia di talenti. Abe e Rose tornano a vivere con la figlia nel suo ex appartamento dell’amato Upper West Side, lasciando la casa del Queens dei rumorosi e invadenti Moishe e Shirley. Mentre l’ex marito Joel è sempre più preso da Mei e dal suo club a Chinatown, Midge cederà infine alle lusinghe di Lenny Bruce?

Ritardata dalla pandemia, la quarta stagione pertanto si annuncia altrettanto acuta, irriverente ed esilarante delle precedenti. La fantastica signora Maisel è una dramedy luminosa, briosa, colorata ed energica ideata, scritta e diretta da Amy Sherman-Palladino (Una mamma per amica) e dall’executive producer Daniel Palladino. Vincitrice di 3 Golden Globe e 20 Emmy Awards, tra gli altri numerosi premi, La fantastica signora Maisel è il ritratto di un’eroina anticonformista a sua insaputa, che deve affrontare gli sguardi della società, della famiglia e i suoi stessi preconcetti mentre cerca di farsi largo in un mondo dello spettacolo, ancora profondamente patriarcale e sessista.

Alla sua quarta stagione, la brillante Rachel Brosnahan si muove con perfetta disinvoltura tra trionfi e cadute dell’irrefrenabile Mrs. Maisel che parla più veloce di quanto pensi. L’umorismo scorretto, dissacrante e a tratti volgare della giovane donna, sempre fasciata in preziosi abiti da diva dell’epoca, è rivoluzionario nella perbenista e maschilista società newyorchese di fine anni ’50. Midge cerca di spiegare ai genitori macchiati nell’onore che l’attrice non è una prostituta; si batte per potersi esprimere liberamente sul palco come un uomo senza finire in carcere per oltraggio al pudore; si indigna quando le viene rifiutata la consegna del latte a domicilio, perché il conto è addebitato all’ex marito. Midge fa esperienza ogni giorno di quanto sia difficile per una donna vivere in un mondo di uomini, ma sempre con ironia e leggerezza. A cui si accompagna la sfrontatezza di Susie (una talentuosa Alex Borstein) in sequenze densamente verbose e altamente esilaranti.

Photo Courtesy of Prime Video/Photographer Christopher Saunders
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Pungente sarcasmo venato di jewish humour in stile Woody Allen, riferimenti alla cultura pop, dialoghi serratissimi, una botta e risposta dai tempi comici impeccabili contraddistinguono una narrazione dalla scrittura travolgente. La serie tv poi si fa musical quando la macchina da presa inizia a danzare con i protagonisti in una coreografia dalla stupefacente fluidità, come nella migliore tradizione hollywoodiana.

I registi seguono Midge, sempre avvolta in abiti dai colori pastello, mises ispirate a Grace Kelly e Audrey Hepburn, soprabiti perfettamente in tinta, nel suo volteggiare tra eleganti appartamenti dell’Upper West Side, mitiche coffeehouse del Greenwich Village come il Gaslight Cafe e grandi magazzini come B. Altman sulla Fifth Avenue. La Manhattan di Mrs. Maisel diventa la scenografia di un musical che vibra di colori e melodie di un’altra epoca. Dard that dream di Ella Fitzgerald risuona mentre Midge insonne se ne va in giro per la città di notte in pigiama, tacchi e bigodini, le voci anni ’50 di The Barry Sisters diventano la colonna sonora di un’imprevedibile giornata in famiglia a Coney Island, ma le note pop rock dei 10cc danno voce alla decisione di Midge di vivere della propria arte.

Amy e Dan Sherman-Palladino dipingono la società americana all’alba dei rivoluzionari anni ’60, della Beat Generation e dell’emancipazione delle donne. Alla frenesia della narrazione però segue sempre la calma della descrizione, attraverso commoventi primi piani su pensieri e speranze di una donna della sua epoca e contemporanea al tempo stesso. Perché saranno cambiate le mode di abiti e cappelli, ma non le rivendicazioni.