La saga cinematografica de Lo Hobbit ha un sapore epico, le cui radici affondano indietro nel tempo, nel secolo scorso. Era l'anno del Signore 1995 quando Peter Jackson decise di sfogare appieno il suo animo nerd esprimendo il desiderio di realizzare una serie di film tratta dalle opere di Tolkien. Con la New Line - i diritti per Lo Hobbit appartenevano ancora alla United Artists - si accordò per la produzione della trilogia del Signore degli Anelli. Il successo arriva in fretta e con lui i primi disamori tra Jackson e la casa di produzione: i soldi del marketing che sarebbero spettati al regista neozelandese non erano abbastanza, e lui afferma nel frattempo di non voler girare Lo Hobbit: non se la sente di replicare il successo di un progetto così ben riuscito come quello del Signore degli Anelli.

Per due anni sarà Guillermo del Toro a gestire la baracca: scrive, programma le riprese e progetta tutto sotto ogni aspetto. Ma il giorno del primo ciak non arriva mai e, ormai stufo di aspettare, ripassa la palla a Jackson. Si inizia da capo, e da due film si passa a tre con buona pace di Del Toro e di coloro che si chiedevano come riempire 8 ore senza sbrodolare con inutilità varie.

Preambolo ampio, ma necessario per capire questo terzo – e, grazie al cielo ultimo – capitolo della saga Tolkeniana nella sua disfunzionalità. La battaglia delle cinque armate nel libro originale de Lo Hobbit dura la bellezza di 5 (cinque) paginette: subito dopo che l'umano Bard (a capo di quella che sarà la prima armata) uccide Smaug, si reca da Thorin per reclamare la sua parte del tesoro di Erebor. Insieme a lui si schiera Re Thranduil a capo degli elfi (seconda armata), che vuole indietro delle pietre preziose che gli appartengono. Ma Thorin non ne vuole sapere: la malattia del drago lo ha fatto suo e la cupidigia gli sta dando alla testa: con la sua compagnia di nani e con altri che verranno in suo soccorso (terza armata) si batterà per mantenere inviolato quello che resta della Montagna Solitaria. Chi manca? Gli orchi! Sapendo che quel bendidio è difeso da una manciata di nani, Azog il profanatore si arma dei suoi orrendi compagni (quarta armata) e dei mannari (quinta armata) per andarsi a prendere quello che non gli spetta.

Due ore e mezza di botte da orchi a 48 fotogrammi al secondo che anche questa volta danno forte l'impressione di stare a casa Jackson mentre lui gioca alla PlayStation e tu guardi mentre si diverte: tutti quei fotogrammi rendono sì tutto più fluido ma anche tutto più finto. Un lungo addio tirato per le lunghe, dove l'azione prende totalmente il sopravvento e rimanda l'epica a data da decidersi, unendosi a quel filone di CGI violenta alla Bay, dove le botte sono digitali, fanno meno male e sono adatte a tutti (5 armate e neanche mezza goccia di sangue). E mentre guardi tutte le mosse segrete di Legolas (che rimane il più figo, non importa in che trilogia lo metti) e le combo di Thorin alle prese con Azog, sotto sotto ti chiedi che fine abbia fatto Lo Hobbit, dove sta la narrazione e le canzoni, gli animali parlanti e più in generale la magia di quelle pagine; se davvero sconfitto il dragone, simbolo fantasy per eccellenza, tutto quello che rimane è questa marea di mazzate.