Kid, il nome di un bambino che di bambino ha ben poco, legato ancora al mondo dell'infanzia ma costretto a crescere in fretta, per imparare cosa significa vivere nel mondo dei “grandi”. È lui il fulcro su cui si concentra il terzo lungometraggio di Fien Troch, giovane regista belga che nel 2005 ha trionfato al Festival di Salonicco con il film d'esordio Someone Else's Happiness, opera in cui, proprio come in Kid, vengono affrontate tematiche tipiche del cinema nordico, come la solitudine e l'assenza di comunicazione.
Sono la freddezza, l'isolamento dei personaggi, resi ancora più evidenti dalla pesantezza di un silenzio che si fa “rumoroso” - anche la musica è quasi del tutto assente, riservata solo ai canti religiosi - che contribuiscono a fare di Kid un film straziante, soprattutto per l'insistenza, ricorrente nelle opere di Fien Troch, nel filmare quelli che la regista stessa definisce “non momenti”, che riescono spesso a raccontare, più degli eventi veri e propri, il dolore vissuto da Kid (Bent Simons) e da suo fratello Billy, costretti, dopo l'abbandono da parte del padre ed il brutale assassinio della madre, a trasferirsi dagli zii.
Nonostante l'immobilità e il distacco, che si percepiscono grazie anche ad una regia “statica”, che rende inerti non solo le ambientazioni, i paesaggi ovattati, ma anche l'agire - o meglio, il “non agire” - dei personaggi, impassibili anche nelle situazioni più tragiche, il film rende palpabile la sofferenza e l'angoscia del bambino che, rimasto solo, in una condizione di totale indifferenza, fa di tutto, e di più, per ricongiungersi agli affetti più cari.