“Perché Elvis è diventato ELVIS?” – “Perché aveva un grande manager, Tom Parker, che l’ha trasformato in una scimmia dentro una gabbia”.

È molto curioso che il Festival di Cannes ospiti – un paio di giorni prima l’anteprima mondiale di Elvis di Baz Luhrmann – il documentario diretto da Ethan Coen e montato dalla moglie Tricia Cooke (editor storica nel cinema dei Coen Brothers) incentrato su Jerry Lee Lewis, tra i padri fondatori del rock 'n roll, “piano player” inarrivabile, autore di hit immortali come Whole Lot of Shakin' Going On e Great Balls of Fire.

Ethan Coen
Ethan Coen
Ethan Coen
Ethan Coen

Anticonformista e ribelle, dalla vita privata a dir poco travagliata (sposato sette volte, la prima a 14 anni con una donna “troppo più vecchia per me”, ne aveva 17; la terza con la cugina di secondo grado Myra Gale Brown, che di anni ne aveva 13, cosa che una volta scoperta causò uno scandalo di dimensioni internazionali che lo costrinse a cancellare numerose tournée), The Killer, questo il soprannome che l’ha accompagnato da sempre, nasce a Ferriday, Louisiana, nel 1935.

Una terra, come ricorda lo stesso Jerry Lee Lewis in uno dei tantissimi interventi recuperati da un footage che attraversa più di 50 anni di storia, della musica e della tv, che è stata determinante per incamerare le commistioni di generi, dal Soul al Rhythm and blues.

Saltando di epoca in epoca, il documentario di Coen (primo progetto in solitaria di Ethan che segue il Macbeth di Joel) segue un pattern coerente nella “ricostruzione” di una carriera (e di un’esistenza) unica, costellata di successi impareggiabili, cadute rovinose, resurrezioni mitologiche (il passaggio alla country music, poi la rilettura del gospel): il denominatore comune, in ogni decennio, è la portata devastante di uno showman dai connotati sciamanici, performer ineguagliabile che ha saputo trasformare uno strumento come il pianoforte in qualcosa di “dinamico” al pari di una chitarra.

https://www.youtube.com/watch?v=NWFJACRAEkE

Seduto a ¾ con una gamba a cavallo dello sgabello, sguardo rivolto al pubblico e mani che iniziano a danzare sopra ai tasti del pianoforte: è incredibile ritrovare nel doc (74’ intensissimi) la potenza di immagini che sembrano provenire dalla preistoria, show televisivi (come quello di Steve Allen) che ne ospitavano le gesta, concerti live dopo divenne celebre il suo gesto di scalciare il seggiolino e dominare il piano con ogni mezzo possibile e immaginabile.

Anche il cinema aveva provato a raccontare Jerry Lee Lewis (Great Balls of Fire di Jim McBride, 1989, con Dennis Quaid protagonista), ma quei Trouble in Mind che danno il sottotitolo al lavoro di Coen e Cooke trovano maggior alloggio questa volta, nel vis-à-vis tra il Killer – colto in maniera rapsodica in differenti momenti della propria vita (anche dopo il delicato intervento subito in seguito allo stomaco perforato dall’abuso di alcool: “Scusami cosa stai tenendo in mano, un sigaro?”, gli chiede sbalordito l’intervistatore) – e lo spettatore.

Tra i produttori anche Mick Jagger e T Bone Burnett, due di passaggio diciamo, che di rock ‘n roll e country music capiscono poco…

Kiss me baby

Ooh, it feels good

Hold me baby, yeah

You gotta let me love you like a lover should

You're fine, so kind

I'm gon‘ tell this world that you're mine, mine, mine, mine