I romanzi delle sorelle Bronte sembrano tornati di moda: dopo le Cime tempestose di Andrea Arnold, arriva in sala Jane Eyre, il più celebre romanzo di Charlotte, stavolta diretto dal giovane Cary Fukunaga. Jane è un'orfana spedita in un rigidissimo collegio che trova lavoro come istitutrice a casa dello scorbutico Rochester. Ma il rapporto di diffidenza tra i due diventerà presto una passione sconveniente.
Moira Buffini adatta il romanzo tra melodramma e noir gotico, cercando di far emergere uno spirito dickensiano, rendendo il film poco più che un'illustrazione. Il racconto comincia ostentando una certa “modernizzazione”, con flashback arditi, stacchi ellittici e uno stile mobile, giocato sui fuori fuoco e la macchina a mano; ma dopo nemmeno venti minuti si assesta sia come narrazione, più piatta, tradizionale e poco avvincente, sia nello stile che si fa sempre più vicino alle corrette trasposizioni BBC, eleganti ma fredde.
E queste indecisioni e incoerenze spengono i sussulti del film: il tema dell'uguaglianza sociale e affettiva non affiora, la regia perde la possibilità di avere una sua forma e il cuore nero della storia è affidato soltanto alla fotografia di Adriano Goldman: nemmeno gli attori riescono a scaldare il cuore dello spettatore e se Mia Wasikowska se la cava con impeto, Michael Fassbender non trasmette la passione di Rochester, come sarebbe richiesto. E spegnere il pathos e l'ossessione del romanzo, è una sorta di peccato mortale.