Nei giorni della quarantena, quelle volte che immaginavamo il cinema dopo la pandemia, tutto sommato speravamo di non vedere una sequela di tragedie all’interno di angustianti perimetri domestici. Sulla carta iSola è il perfetto film di quel tempo lì: una donna chiusa in casa costretta a fare i conti con la solitudine, la fragilità, l’angoscia.

Tuttavia c’è qualcosa in più nel nuovo lavoro di Elisa Fuksas: il racconto di un dramma collettivo intercetta l’autobiografia attraverso la restituzione spudorata di un dolore privato. Alla vigilia del lockdown, Fuksas scopre di avere un nodulo alla tiroide. Deve operarsi al più presto, le dicono. Poi, nell’arco di pochi giorni, tutto cambia. E chiude.

Fuksas si rifugia nella sua casa bohémien che s’affaccia sul Ghetto, esce ogni tanto con la sorella per scoprire una Roma deserta e sospesa “in un’alba perenne”, chiacchiera con i vicini mentre la cagnetta Stella, unica compagna di viaggio, dà segni di artrosi. E filma tutto, con l’iPhone che diventa propaggine del corpo, testimone e strumento per testimoniare un tempo mai visto.

iSola è un memoir in forma di immagini in movimento, un diario intimo che somiglia a un videoblog, un patchwork che unisce videochiamate e riflessioni ad alta voce, sguardi dalla finestra e pezzi di vita. Tutto si irradia alla luce della conversione della protagonista, battezzata da un anno e desiderosa di provare la paura nella certezza che qualcosa o qualcuno ci sia oltre questa realtà.

La prima parte di iSola ha qualche problema nella tenuta di un racconto che appare talvolta verboso, forse fin troppo pensato nel suo dipanarsi in un territorio imprevisto. Si avverte la necessità di leggere mettendo in campo la storia di un corpo al crocevia del dolore, ma la spontaneità si dimostra qua e là un po’ artefatta.

Il film si fa più commovente quando scopriamo che una delle più care amiche della regista e protagonista ha scoperto di avere un linfoma. La drammatica coincidenza dona a iSola una prospettiva diversa, meno legata alle contingenze del teorema (pandemia/malattia, dolore collettivo/dolore personale) e più autentica nel definire i contorni di un’esperienza particolare ma che riesce a instaurare un dialogo vivido con gli spettatori.

Certo, la visione privata nel casale dei genitori di frammenti del film in fieri è un po’ discutibile, ma nell’incontro tra le amiche e il finale in alta quota iSola trova la sua dimensione ideale.