La vita è dura in corsia per i medici tirocinanti. Agli sforzi compiuti per non sembrare oggetto dei soliti favoritismi - il padre è il primario di reparto - il giovane Benjamin è costretto ad affiancare una dose di umorismo cinico nei rapporti con i colleghi più anziani e, soprattutto, una razionale professionalità nell’affrontare il dolore dei pazienti.

A dare una mano all’aspirante dottore, tormentato dai dubbi, ci pensa Abdel, medico di origine algerina e sorta di figura paterna alternativa, insofferente alle pretese dei superiori e incline ai legami empatici con i pazienti.

Con Ippocrate, il francese Thomas Lilti, anche co-autore delle sceneggiatura, torna nuovamente a descrivere il mondo della sanità francese dopo l’interessante Medico di campagna (in realtà posteriore al film preso in esame) e punta la lente d’ingrandimento sui corridoi di un reparto ospedaliero della metropoli parigina.

 

Senza mai scadere nella pornografia del dolore e forte della propria esperienza personale (Lilti è un vero medico), Ippocrate traccia un quadro efficace della vita di reparto, dei suoi umori, dei suoi problemi, raggiungendo difficilmente picchi emotivi ma anche senza una sbavatura.

L’uso implacabile della macchina a mano, lungi però da eccessi vertiginosi à la fratelli Dardenne, crea infine un piacevole effetto documentaristico, ma la sostanza filmica è pura fiction.