Sean Penn: "E' la storia della fuga di Chris dalla corruzione della famiglia e del mondo, ma dominante è la scoperta di un luogo in sintonia con quello che il ragazzo sta diventando: la celebrazione della libertà". Emile Hirsch: "Ho cercato di rispettarne realtà e autenticità: il suo grande amore, ma anche l'egoismo, l'immaturità e l'avventatezza". "Non amo meno gli uomini ma più la natura" scrisse Lord Byron, lo riscrive per immagini e suoni Sean Penn con Into the Wild, biopic on the road destinazione Alaska, tratto dall'omonimo bestseller di Jon Krakauer (Nelle terre estreme, in Italia) e interpretato dallo straordinario Emile Hirsch (Alpha Dog, Lords of Dogtown). E' lui a prestare volto e corpo al 22enne Christopher McCandless, che a pieni voti sulla soglia della Harvard Law School nel 1992, decide di abbandonare famiglia e studi, brucia denari, taglia carte di credito, dona all'Oxfam i suoi averi (24mila dollari), e si mette sulla strada: meta finale l'Alaska, dove il suo corpo senza vita verrà ritrovato due anni dopo in un autobus abbandonato.
All'ultima Mostra di Venezia, l'artista e regista Julian Schnabel ci disse: "Sono due i capolavori di quest'anno, il mio Lo scafandro e la farfalla e Into the Wild di Penn". Aveva ragione, almeno sul secondo. Modellati dalle musiche di Eddie Vedder, plasmati dalla coraggiosa, ineludibile fisicità di Hirsch e infine contrappuntati dalla natura selvaggia, splendida e crudele dell'Alaska, sono 148' che scorrono potenti, intersecando incontri con hippie di mezza età, agricoltori, giovani coppie, vecchi eremiti, tessere uguali e contrarie della vita, colta nel suo farsi libertà: quella egoistica, amorevole, avventata e peritura di Chris, in fuga dalla prigione della famiglia e della carriera verso un luogo che possa essere anima e corpo. Lo troverà, abiterà e abbandonerà in Alaska, su un bus scassato in mezzo alla terra di nessuno: è l'ultimo riparo di Alexander Supertramp, nome scelto per tenere a battesimo la Vita. Viaggerà fino alla  fine, che lo lascia con le labbra socchiuse a guardare il cielo. Senza rimpianti. Alle sue spalle, l'immaginario americano, rivisto e attualizzato da Penn: il miraggio della frontiera, su vagoni che ricordano Dylan; autostop à la beat generation; London, Thoreau e Tolstoj sul comodino che non c'è, ma senza più l'on the road di Kerouac (vedi il "distacco" di Penn dalla coppia hippie): ribellione in prima persona singolare, con un epilogo (auto)critico: "Non è vera felicità se non puoi dividerla con qualcuno". Da vedere.